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No New – L’incontro è il tema portante di “Quantum”, il nuovo album di GianCarlo Onorato

Il quinto album in studio di GianCarlo Onorato (musicista e scrittore, considerato tra le figure seminali della scena indipendente italiana dopo essere stato in adolescenza leader di Underground Life)  si intitola Quantum. E’ un disco che ha richiesto quasi tre anni di lavorazione, è stato prodotto dallo stesso Onorato e da Marco Giuradei  e il tema centrale è quello dell’incontro.

 

“Quantum” ha richiesto quasi tre anni di lavorazione. Pensi di aver raggiunto l’obiettivo prefissato inizialmente?

Direi di sì, penso di avere almeno mantenuto fede allo spirito originario delle canzoni. Una canzone, come qualunque sentimento, ovvero una fusione tra volizione, emozione ed elaborazione, se è uno slancio autentico e non una posa o un espediente per raggiungere scopi precisi, ha in sé una sorta di nucleo che è quello con cui è nata. Se si riesce a conservarlo vivo, anche se il risultato finale sarà diverso da quanto avevi ad un certo punto del percorso immaginato, nel suo insieme comunicherà quel nucleo, saprà di quello. Ed è un buon traguardo. Direi, di più, che tutto il tempo trascorso nelle lavorazioni di “quantum”, è stato impiegato appunto per mantenere e conservare quel nucleo, o per tornarvi laddove ci si fosse allontanati da esso.

 

Un disco il cui tema centrale è quello dell’incontro…

Già. L’incontro tra elementi essenziali genera la vita, ognuno di noi è stato generato da un incontro. Mi pare un tema dotato di fascino a sufficienza per dedicarvi qualche riflessione. Vi sono poi milioni di incontri, e ve ne sono anche nel mondo macroscopico di ogni singola giornata. Si tratta di accorgersene. Diciamo che io sono uno che spende molto tempo a osservare, per questo sarebbe meglio non aspettarsi da me troppa puntualità. Ma non sono neppure uno che perde tempo. Do al tempo il giusto valore.

 

Com’è nata l’idea di copertina?

Da alcuni anni a questa parte la copertina dei miei dischi è opera di un creativo di rara abilità interpretativa, Gino Durso. Durso è anche prima di tutto una persona che ha molto ascoltato e assimilato il mio lavoro sin dai tempi di UL, quindi ha potuto assumere una visuale che insieme è interna, conoscendo me come persona, e al tempo stesso di osservazione del mio percorso. Per “quantum” gli è bastato poco per capire di trovarsi davanti ad un’opera che richiedeva sia profondità quanto immediatezza, nel senso più proprio dei termini: andare al fondo e non mettere troppo “in mezzo”. Ha così superato subito l’idea di farne una copertina che avesse funzione di involucro per informazioni tecniche. Ha cercato la via di offrire altra e ulteriore lettura a un disco che vuole essere interlocutorio con chi lo ascolti, vuole parlare ma anche ascoltare. E come potrebbe un disco ascoltare chi lo ascolta? Offrendo ulteriori vie di coinvolgimento, parallele a quelle percepibili subito. La copertina raffigura un particolare di un dipinto che ha lo stesso titolo del disco, ma si raccoglie attorno ad esso, divenendo opera a sé. Chi vorrà averla, avrà anche un dettaglio scelto del dipinto, che se crede, potrà godersi indipendentemente dal disco stesso. Ora, l’essenzialità di questo progetto è tale, per cui ogni costruzione intellettuale rimane fuori, restano i segni con i quali dialogare, e in entrambi i casi, sia per il disco, sia per il progetto che lo accoglie, si va oltre l’oggetto, per puntare sul senso.

 

 

Un brano tuo o di un altro artista che ti emoziona particolarmente suonare?

Brani di altri artisti che mi emozionano ve ne sono molti, come ha anche dimostrato l’intero tour e il disco pure “Onorato & Godano ExLive”.  I brani come i libri hanno un proprio momento di piena vita. Per un libro la sua vita nasce e rinasce ogni volta che ne riapriamo il discorso contenuto nelle sue pagine; per una canzone, ogni volta che torniamo a farcene attraversare. Quindi di volta in volta vi saranno sfumature proprie di questa o quella composizione che ti fanno vibrare. E possono essere diverse le nature che ricerchi, ogni volta nuove, e credo vi saranno altre occasioni per dimostrarlo, mentre mi risulta astratto dare qui i titoli di brani che reinterpreterei.  Più difficile dire “quale” sia la tua composizione che più ti emoziona. Risponderò così: mi emoziona ogni mio brano la cui resa sappia tornare all’essenza del pezzo e riscodellarmi dentro la sua lava. Se questo non accade, un pezzo può valere l’altro. E’ importante saper rivivere e far rivivere un brano quando lo suoni, come fosse una rievocazione.

 

C’è un luogo in cui ti piace isolarti per dedicarti alla scrittura?

Sì, c’è, o almeno lo è stato per molto. Ed è un santuario di secondo ordine nelle colline lecchesi. Sono luoghi che per semplicità e assenza di ogni clamore mi permettono di concentrarmi. Ma io sono uno che non cerca l’isolamento, cerco piuttosto l’immersione. Non bisogna immaginarmi monaco appartato in luoghi speciali, sono cose che sanno tanto di atteggiamento autoretorico, se si può comprendere. Il mito dello scrittore o musicista che si apparta perché avrebbe cose importanti da concepire mi fa un po’ ridere, perché è appunto una figura retorica. Se hai qualcosa da dire è più facile e reale che tu abbia da partorire dove la vita è reale, piuttosto che nell’elezione di luoghi prescelti.
Credo invece alla partecipazione dell’artista, come persona, di ogni concretezza. L’artista, se è artista, ha il compito della partecipazione, della discesa in campo, del lavoro sporco e della continua messa in discussione di sé e del proprio ruolo col resto. Diciamo che amo andarmene al mattino e rimanere sino a sera dove sto bene, ma in mezzo alla gente. Niente è più forte come fonte di ispirazione della gente, specie se non vuoi parlare della gente, ma di ciò che ti vibra dentro.

 

Guardandoti intorno come vedi la scena musicale italiana d’oggi?

Tecnicamente evoluta, contenutisticamente in generale involuta per ragioni epocali. Più spesso analfabeta dei principi su cui si fondano le cose. Molti, troppi tra coloro che ritengono di avere qualcosa da dire, non sono consapevoli di ciò che è stato e di ciò che dunque potrebbe essere la musica. D’altra parte non è che esistesse un tempo un’Arcadia della musica in cui tutto andava bene, io ho ricordi disgustosi di un certo passato. Ed è inoltre sempre pericoloso giudicare come negativo il proprio tempo incensando altre epoche. Parlando in generale, quindi in modo un po’ sbrigativo e sommario, oggi molti mi appaiono in verità vittime di una posa o di una vanità in base alle quali può essere eccitante, per un dato periodo della propria vita, complicare le scene (già di per sé sovraccariche), con cose tutto sommato di dubbia utilità, per poi dileguarsi se non sono stati abbastanza velocemente toccati dalla fortuna. Provo più simpatia per chi umilmente distilla il proprio pensiero preparandosi a emettere qualcosa di sensato e utile agli altri. Manca un principio ecologico della musica. Perché quello che che non si dice mai, o quasi mai, è che la musica, e persino la canzone, perché sia accettabile deve essere utile, giovare cioè a chi la riceve, essere materia viva in cui riflettersi e con la quale dialogare. Una canzone è utile quando rimane valida anche quando la reincontri nel tempo, ed è in grado lo stesso di restituirti ciò che di te pensavi di aver perduto, e puoi soppesarlo e metterlo a confronto col te stesso di oggi. Ma il vero guaio della proposta sterile è che genera e alimenta ignoranza, la quale contribuisce a una richiesta di musica ignorante e superficiale, come una droga artificiale, e questo rende tutto più basso e abbruttente. Le proposte sbagliate abbruttiscono chi ne fruisce, rubando loro tempo che potrebbero impiegare per migliorare davvero. Però credo sia un passaggio, credo che esistano anche molti autori preparati, che sanno stare nel proprio laboratorio a prepararsi prima di lanciare il proprio seme. Questi che oggi non vediamo, oscurati spesso da chi mangia le scene ai danni di un pubblico incapace di giudizio critico, saranno il futuro, e allora le cose andranno meglio.  Dobbiamo solo fare attenzione a che questo profondere posa non tolga del tutto la fertilità a chi vuole dare un seguito alle idee. Comunque sia, tenete a mente che se gli scenari musicali in genere sono infognati di troppa roba superflua, Onorato è sollevato da responsabilità. Almeno da questa, le altre me le assumo volentieri.

 

Intervista a cura di Cinzia Canali

 

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Cinzia Canali nasce a Forlì nel 1984. Dopo gli studi, si appresta a svolgere qualunque tipo di lavoro, ama scrivere e ha la casa invasa dai libri. La musica è la sua passione più grande. Gira da sempre l'Italia per seguire più live possibili, la definisce la miglior cura contro qualsiasi problema.

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