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No Report – Diodato: Il cantautore che guarda negli occhi

In una recente intervista Ornella Vanoni, alla domanda su cosa ne pensasse del rap, rispondeva dicendo che è musica fatta da chi non sa cantare. Al di là della risposta tranchant, c’è un nucleo di verità e cioè che mai come oggi il verbo cantato ha perso il suo ruolo naturale di protagonista della canzone. Ecco perché la percezione più immediata che abbiamo tratto dall’esibizione del concerto di Diodato al club MA di Catania, ultima tappa di “Adesso Club Tour”, è quella di stare di fronte ad un artista che mette al centro di tutto la voce, con una scrittura pensata per essere cantata nel senso più classico del termine. Non sembri ovvio, ma la cosa più evidente è proprio che Diodato canta e lo fa benissimo, in modo preciso, pulito e con un senso della misura impeccabile, spingendo solo dove il livello del pathos lo rende necessario. In questo senso, l’artista di origini pugliesi si pone in una distanza equivalente tra il cantautorato indipendente, in cui prevale il registro dell’intimismo sussurrato, e la solidità della tradizione poetica di De Andrè o Modugno (entrambi, non a caso, omaggiati nel corso della serata). Il fatto che Diodato abbia scelto all’ultimo minuto di volersi sedere sotto il palco implica una duplice intenzione: ridurre ogni distanza tra sé ed il pubblico e dare risalto all’apporto della sua band nei cui confronti chiede spesso larghi applausi.

Il set si apre con Ubriaco dall’album “E forse sono pazzo” del 2013 ed ecco che si crea sin da subito un disteso clima di partecipazione collettiva, a cui fa seguito il blues di Mi fai morire, prima che i toni si distendano con Di questa felicità dall’ultimo “Cosa siamo diventati”. Arriva il folklore colto di Paralisi, brano della colonna sonora del cortometraggio “La Paralisi” di Gianni Costantino, poi Fiori immaginari che cresce sino ad esplodere su un tappeto ritmico che ricorda la meccanica di un orologio. Ma che vuoi serve a preparare il campo alla personale rilettura di Amore che vieni, amore che vai di Fabrizio De Andrè, contenuta nella soundtrack del film “Anni felici” di Daniele Luchetti. Con il disincanto di Cosa siamo diventati l’artista disegna la propria perfetta dimensione artistica fatta di autentica intensità emotiva, bilanciata dalla vena ironica della successiva Guai. Due i brani suonati con l’accompagnamento del glockenspiel: il groove funky de La verità e le delicatezze soffuse di Un po’ più facile.

Il concerto si chiude con il brano Adesso presentato a Sanremo insieme a Roy Paci (tra il pubblico) che trascina con l’onda del suo crescendo. Il bis che il nostro inaugura senza uscire di scena, è Piove di Domenico Modugno in una versione ossequiosa dell’originale, mentre la fine del concerto è affidata a Babilonia e Cretino che sei sulle cui note viene chiesto a tutti di scendere dagli spalti e raggiungere la scena in un grande abbraccio. Ecco che Diodato si confonde con gli spettatori che si affollano attorno a lui cantando a squarciagola come loro per restituire tutta l’energia che gli è stata donata. A fine serata l’immagine che resta nella mente è quella di un cantautore gentile e sincero, seduto con la sua chitarra acustica sulle ginocchia che canta guardando tutti dritto negli occhi, quasi a voler catturare le emozioni di ognuno. Conta solo l’attimo e adesso è tutto ciò che avremo.

Giuseppe Rapisarda

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Avvocato, appassionato di musica. Da quando il padre gli regalò la cassetta di "Outlandos d'Amour" dei Police non ha più smesso di comprare dischi. Sa essere concreto anche se, di tanto in tanto, si rifugia in un mondo ideale sospeso tra le canzoni di Neil Young e le divagazioni oniriche dei romanzi di Murakami.

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