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No Review

No Review – …But everybody calls me Director John Carpenter

Circa un anno e mezzo fa, sopperivo alla mia voglia di concerti e alle mie disgrazie economiche guardando i Live del Primavera Sound Festival in diretta su Redbull.tv, che offriva ben tre canali da poter scegliere, in base al live che più interessasse.
Scorrendo tra un cambio palco e l’altro, mi ritrovo, di fronte ad una tastiera al centro, un uomo composto dai capelli argentati, il volto segnato dal tempo, eppure familiare e rassicurante. Dietro di lui cinque giovani musicisti.
– Piccola postilla: la didascalia del sito, sulla quale poter leggere subito chi si stesse per esibire, si aggiornava in ritardo, quindi non era sempre attendibile. Non ricordo chi segnalasse –
In un primo momento penso al buon Giovanni Giorgio, in arte Giorgio Moroder (77 anni), che i grandi Daft Punk hanno riportato magistralmente alla ribalta internazionale, tramite la collaborazione e l’omaggio in un pezzo del fantastico album di tre anni prima, Random Access Memories. Ma anche se l’intuizione sembra felice, mi rendo conto che la strumentazione non corrisponde: troppo semplice per lui, zero computer e troppi strumenti tradizionali dietro.
OK. Ci sono. Ma sì che è lui. Le prime note non mentono e ora ricordo che avevo letto, con qualche sorpresa, il suo nome nel cartellone del Primavera. Alla tastiera al centro c’è il maestro John Carpenter, 69enne regista cult statunitense nonché principale autore delle musiche dei suoi film…

Il Live si rivela strepitoso già dal monitor del mio computer, figuriamoci trovandosi lì dal vivo. Carpenter sciorina aneddoti mentre presenta i suoi temi musicali classici e delle novità, così scopro qualcosa che mi era sfuggita: in questi ultimi due anni (2015 e 2016) ha pubblicato due album di pezzi inediti, Lost Themes vol. I e II. Sono una sorta di possibili colonne sonore per futuri film non ancora fatti nè pensati, quindi carichi di originalità e sperimentazioni che potrebbero ispirare qualunque regista, ma allo stesso tempo delle composizioni a sé stanti, al di là del loro ideale utilizzo. Ecco come nasce il suo spettacolo e la presenza ad un Festival musicale così importante come quello spagnolo (o forse da adesso dovremmo definirlo solo “catalano”, sempre che si continui a svolgere).
Tutta questa lunga introduzione serve a spiegare come sono arrivato a comprendere e recensire la sua terza fatica discografica.

È uscito il 20 Ottobre di quest’anno Anthology: Movie Themes 1974-1998, per l’etichetta Sacred Bones Records, e chiarisco subito una cosa: si tratta di un album vero! Cosa intendo dire per “vero”?
Il discorso fatto prima sul live di Barcellona e sugli album precedenti non è solo una intro a caso.
Quest’album contiene 13 tracce dei temi principali dei suoi film più famosi, rivisitate insieme al figlio Cody ai sintetizzatori e al figlioccio Daniel Davies alla chitarra (figlio dell’amico e collaboratore Dave Davies).
Il fatto che questo terzo capitolo della discografia di Carpenter sia un’antologia, tra l’altro la prima che raccolga tutti i suoi main theme cult, non deve far pensare ad un calo di livello rispetto ai due Lost Themes, né a una mera operazione commerciale sulla loro scia. Il risultato sono invece 12 brani, più la cover del pezzo originale di Ennio Morricone per la La cosa (The Thing, 1982), che mantengono la loro essenza senza tempo e contemporaneamente si proiettano verso un proprio futuro, che sia per un simil remake filmico o solo per goduria concertistica.
Anthology: Movie Themes 1974-1998 è un disco vero, pensato per non lasciare incompiuta una ideale trilogia con i due precedenti (come da tipica tradizione cinematografica) e non a caso i pezzi non sono in ordine cronologico, ma ben studiati.
Si trovano vari generi (senza scadere nell’effetto accozzaglia) e ritmi in un crescendo di tensione e rallentamenti preparatori ad una nuova risalita, quasi come se fossero state seguite le regole della compilation perfetta di Nick Hornby (Alta Fedeltà, 1995), ma con intenzioni diverse dal voler “conquistare il cuore delle ragazze”.

Track by track
Si parte a razzo col rock d’ispirazione heavy metal alla “Enter Sandman” dei Metallica di In the Mouth of Madness (1994) e poi si sfiora un breve prog elettronico che crea lentamente la preparazione all’Assalto del Distretto 13 (1976).
Cala una fitta nebbia sui tasti del pianoforte “classico” di The Fog (1980). Il Signore del Male (1987) è bravo a rimischiare le carte dei precedenti ed accompagna verso una prima chiusura ideale, con gli arpeggi rilassanti e malinconici della chitarra mariachi di Santiago (Vampires, 1998).
La tensione riprende subito mentre ci si arma a puntino di synth e prepara alla Fuga da New York (1981). Il culmine della poetica oscura e martellante di Carpenter arriva proprio in questo periodo in cui scrivo: Halloween (1978) è il marchio di fabbrica.
Abbiamo superato la metà del disco, ma i “guai” non sono ancora scampati; ce n’è uno Grosso di guaio (quanto il camion Porkchop Express) a Chinatown (1986), che comunque riesce a distrarre e rilassare un attimo.
Non troppo, perché arrivano gli alieni. Indossiamo degli occhiali a lenti scure (come tutta la band in questo momento del Live) per leggere il messaggio subliminale dentro il blues sincopato di Essi Vivono (1988). La Cosa (1982) è forse la traccia più misteriosa e difficile da comprendere, esattamente come la creatura parassita del film: lascia un po’ il groppo in gola.
Il registro cambia all’improvviso negli ultimi tre pezzi: esplodono i sintetizzatori romantici ed epici di Starman (1984), un’altra creatura aliena, ma di carattere ben diverso dalla precedente; nello Spazio c’è spazio anche per i sentimenti (scusate il gioco di parole) secondo il “vecchio” John. C’è una filarmonica sporca e acida ad accompagnare le molteplici discussioni, filosofiche e non, intorno al 4° alieno della serie in Dark Star (1974), l’opera prima di Carpenter che strizza l’occhio a Kubrick.
Si torna repentinamente sulla Terra con l’ultimo pezzo che non può che terminare a bordo della macchina infernale Christine (1983), riallacciandosi perfettamente ai suoni rock che ci avevano immediatamente fatto diventare “folli” sin dal 1° brano.

Tracklist: 01. In the Mouth of Madness -02. Assault on Precinct 13 -03. The Fog -04. Prince of Darkness -05. Santiago (Vampires) -06. Escape From New York -07. Halloween -08. Porkchop Express (Big Trouble in Little China) -09. They Live -10. The Thing -11. Starman -12. Dark Star -13. Christine

Non c’è che dire, Anthology: Movie Theme mi ha fatto fare un gran viaggio, come solo i buoni dischi sanno fare.
Complici sicuramente tutte le suggestioni cinematografiche rammentate, ma dalle quali fuoriesce la maestria nel dirigere di un uomo che, a 69 anni, non smette di tenere la mente aperta alle novità, alle sperimentazioni e alla voglia compiaciuta di creare emozioni, talvolta inquietanti.
E se per un attimo, nel su citato Live al Primavera, l’ho scambiato per Giorgio Moroder, spero mi perdoni. In fondo, da buon newyorkese qual è, una certa “italianità” l’avrà pure acquisita, pensando anche all’ispirazione che gli ha dato all’inizio della carriera un altro maestro della pellicola come Mario Bava.
Chissà che non gli venga in mente di iniziare il suo prossimo live con la frase:
“My name is Giovanni Carpentiere, but everybody calls me Director John Carpenter”.

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- "Cosa vuoi fare da grande?" - Il Mangoni degli Elio e le Storie Tese, ma per gli Arctic Monkeys.

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