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No Trip

No Trip – “Lettere di viaggio” dalla A alla Z: A come Amsterdam

Valentina è affetta dalla sindrome di Wanderlust o come la chiama lei “sindrome da viaggio ossessivo compulsivo”. Cura questo problema nel modo più banale del mondo, viaggiando. Per fortuna il suo lavoro (Marketing & Communications Specialist) la aiuta a placare l’astinenza. Viaggia per piacere quando è in ferie, viaggia per lavoro quando è in fiera. E le fiere sono sempre più delle ferie.

Per avviare questa rubrica sui viaggi ha deciso di fare un benchmark dei luoghi in cui era stata… e quale modo più facile dell’ordine alfabetico? Insomma, ha all’attivo un luogo o più per quasi tutte le lettere (salvo lettere improbabili tipo la “Q”): nasce così No Trip – “Lettere di viaggio” dalla A alla Z.
La lista che propone è infinitamente lunga. Oggi la inauguriamo con la “A” di Amsterdam.

A di Amsterdam

Dicembre 2010.

Faceva freddo, così freddo che decine di canali che attraversano la città erano gelati. Le anatre passeggiavano sull’acqua e infilavano la testa in buchi nel ghiaccio sparsi qua e là.

Era la prima volta che mettevo piede in Olanda e la prima cosa che pensai appena arrivata in città fu: “Non c’è una casa dritta”. La seconda, invece, fu notare che ogni dieci metri vi fosse uno smart shop. Ricordo che risi alla vista di famiglie con bambini entrare in un McDonald’s: era di fianco ad un sexy shop nella cui vetrina, allestita a dovere, troneggiava un enorme fallo in legno. Spiccava in mezzo ad una svariata quantità di altri attrezzi erotici.

Ricordo la gente. Amsterdam è un luogo mistico, dove tutto ciò che a casa nostra è proibito lì è legale e regolamentato. Ricordo le espressioni a metà tra il divertito e l’imbarazzato dei turisti che passeggiavano nella via a luci rosse, stupiti dalle espressioni ammiccanti delle ragazze in vetrina.

Il mercatino delle pulci. Ricordo un incredibile odore di incensi, cappelli di pelliccia, colori militare e una quantità indescrivibile di dvd porno disposti in bell’ordine sulle bancarelle. Comprai un bellissimo berretto con i capelli rasta, diventato compagno di avventure in mille serate di stupidità.

Entrammo in un coffee shop, ero con un mio amico. Alla vista del suo documento gli chiesero gentilmente di uscire. Allora era ancora minorenne. Inconsciamente mi sentii sollevata. Non avevo mai provato marijuana e non avevo idea di che cosa sarebbe potuto succedere.

Ricordo la neve e la ricerca di posti in cui bere qualcosa di caldo. Una volta sedemmo in un bar, ordinammo una crepe al cioccolato. Finito lo spuntino rimanemmo seduti ancora un po’, fuori si gelava. Il gestore venne un paio di volte a chiedere se volevamo altro. Alla terza volta ci ricordò che non eravamo in Italia e che se non consumavamo altro dovevamo uscire. Ancora mi chiedo perché. Il locale era vuoto…

Ricordo la vodka venduta a tubetti come il dentifricio, i lecca lecca e i thè alla marijuana, trita-erba e preservativi venduti come caramelle in tabaccheria.

Ma una cosa più di tutte, forse banale, ma per me meravigliosa: le biciclette. Centinaia, migliaia di biciclette. Parcheggiate ovunque e nei modi più improbabili.

 

Valentina Ciccanti

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