“3000remiX” è il nuovo EP di BLINDUR, contente 7 versioni inedite, rimasterizzate e remixate del brano “3000X”, estratto dall’album “A”, secondo lavoro discografico del progetto guidato dal cantautore e produttore Massimo De Vita.
Il disco “A”, pubblicato nel 2019, è stato accolto con entusiasmo dalla critica, che lo ha recensito sulle principali testate, e portato a lungo in tour, consolidando l’apprezzamento del pubblico per il coinvolgente assetto live della formazione, che vanta oltre 350 concerti in Italia e all’estero con aperture che vanno da Damien Rice a Jonathan Wilson, passando per Niccolò Fabi, Cristina Donà, Tre allegri ragazzi morti e numerosi altri.
Blindur, ora, fa rivivere la canzone “3000X” lavorando in sinergia con numerosi dj e producer della scena nazionale e internazionale: da Marco Messina dei 99 Posse a Speaker Cenzou, con riletture che vanno dalle sonorità reggae a quelle psichedeliche, tutte confluite in una sperimentazione che ha fatto nascere 7 nuove canzoni da una stessa identica anima.
Intervista di Egle Taccia
Come si è evoluto il progetto Blindur negli anni?
Siamo partiti sei anni fa, nel 2014, che eravamo un duo, poi nel tempo siamo diventati un trio, successivamente c’è stata una rivoluzione totale nel momento in cui sono iniziati i lavori del secondo disco dei Blindur, nell’autunno 2018. Il mio collega storico si era preso una pausa dal progetto ed io ho lavorato al secondo disco dei Blindur in solitaria, ma dall’uscita del disco in poi, in realtà, è nata la band che esiste ormai da un anno e mezzo, che è composta da cinque elementi, e che ha ovviamente contribuito alla trasformazione di Blindur da quell’attitudine più new folk dell’inizio a qualcosa che è da sempre dentro me, cioè un’impostazione più alternative, più rock.
“3000remiX” è il vostro nuovo ep di remix a cui hanno partecipato numerosi musicisti. Com’è nato il progetto e come avete scelto gli artisti da coinvolgere?
Il progetto è nato un po’ così, quasi per scherzo, perché alla fine del tour del primo disco decidemmo di pubblicare un Ep che si chiama “Mozzarella Session”, in cui abbiamo scelto delle cover e le abbiamo risuonate insieme a Dell’era, Xabier Iriondo, Luca Romagnoli del Management, gli Espana Circo Este, i Tre allegri ragazzi morti, insomma abbiamo fatto un piccolo Ep di cover rivisitate con una serie di artisti amici. In questo caso avevamo in conto, alla fine del tour di “A”, di pubblicare di nuovo un Ep speciale, di inventarci qualcosa, ma non sapevamo bene cosa, non avevamo ancora deciso. Siccome “3000X” è una canzone molto importante nel mio percorso autorale, nel senso che segna un po’ uno spartiacque in termini di scrittura e di composizione, ho pensato che era un peccato che questa canzone rimanesse solo la terza traccia di un disco, ma poteva essere qualcosa in più, però eravamo fuori tempo limite per pubblicarla come singolo, essendo già passato quasi un anno dalla pubblicazione del disco e quindi ci siamo detti “cosa ce ne facciamo?” All’epoca quando abbiamo realizzato il brano ho lavorato con Adriano Viterbini per le chitarre e JT Bates, che è il batterista di Bon Iver, per la batteria. Ho interpellato loro perché nella canzone volevo che ci fosse qualcosa di particolarmente ritmico che avesse a che fare con la musica africana, perché sentivo che nella scrittura c’era questa matrice un po’ più rituale legata alla danza, un’anima più ritmica, e a quel punto, sull’onda di questo ragionamento che ho in qualche modo disseppellito alla fine del tour di “A”, mi sono detto: “Ma se è vero che c’è questa matrice così ritmica e così rituale nel brano, proviamo a dare questa canzone a dei producer, a dei dj, e vediamo cosa ne viene fuori.” Sostanzialmente abbiamo iniziato per scherzo, dando le tracce aperte del brano a due dj, l’esperimento ci è sembrato particolarmente divertente e particolarmente figo e, di conseguenza, in quel momento abbiamo iniziato a fare un giro di mail e telefonate a vari amici incontrati nei tour precedenti, negli anni, o a persone che frequentano il mio studio di registrazione a Napoli, persone che ci hanno ospitato quando eravamo in day off da qualche parte in giro per l’Italia, ed è venuto fuori questo Ep. Sostanzialmente la scelta delle persone che ci hanno lavorato è legata in primo luogo all’intesa personale, quindi all’aspetto più umano, e poi alla grande stima artistica che ovviamente ho nei confronti di tutti i coinvolti.
Qual è la versione che più di tutte vi ha lasciati senza parole?
Questa è una domanda difficile perché ogni versione è talmente diversa dall’altra che è come se in “3000X” ci fossero state in partenza un sacco di sfumature, ci fossero stati un sacco di semi, e ognuno fosse riuscito a far fiorire uno di questi semi. Ti faccio un esempio, non mi sarei mai aspettato che “3000X”, che è una canzone piuttosto impegnativa, potesse diventare una roba così disco baleare come ha fatto Whodamanny, così come non immaginavo che potesse destrutturarsi e diventare così synth wave come ha fatto Marco Messina, o la piega hip hop che le ha fatto prendere Speaker Cenzou; insomma, sono stati tutti veramente molto molto bravi a tirar fuori qualcosa di molto personale e non ti nascondo che io questo l’ho anche cercato. Faccio veramente fatica a dirti qual è la mia preferita, perché sembrano canzoni diverse anche se è sempre la stessa canzone.
La felicità è il vero problema dell’umanità?
Secondo me è la ricerca della felicità il vero problema, o comunque l’idea contemporanea che in questa parte di mondo abbiamo della ricerca della felicità, che è direttamente collegata con l’altro lato della medaglia di questa spasmodica ricerca della felicità che è il terrore di essere tristi, di non essere pienamente soddisfatti, felici, di non essere i primi della classe per forza. Questo terrore, questa ossessione e quindi di conseguenza la disperatissima ricerca della felicità e la sua ostentazione, mi sembra che siano sicuramente uno dei problemi principali per cui la nostra società sta vivendo ormai già da qualche decennio un corto circuito crescente, e l’idea di dover continuamente e costantemente mostrarci felici e convincere noi stessi che siamo felici, che siamo i più belli, i più bravi, i più fighi, i più ricchi, quelli che fanno più cose, in un qualche modo diventa un’insoddisfazione costante e può diventare molto frustrante anche se viene meno uno solo di questi aspetti e in quest’ottica sì io penso che sia proprio un’arma pericolosissima la felicità.
La musica italiana avrebbe bisogno di maggiore sperimentazione per riuscire a varcare i confini nazionali?
Un po’ sì e soprattutto dovrebbe iniziare a pensare all’idea di poter andare fuori dalla nostra nazione, nel senso che mi sembra che in molti casi non ci sia proprio l’ambizione, l’attitudine, nonostante invece io creda che ci siano degli artisti fortissimi, uno su tutti, se voglio pensare al mainstream, alle cose che veramente conoscono tutti, Mahmood all’Eurovision. E’ stato un plebiscito perché aveva una roba super internazionale che poteva tranquillamente competere con il super pop americano, inglese o di qualsiasi altra parte del mondo. Per quanto riguarda il piccolo, quindi quello che può riguardare più la realtà di Blindur, il circuito che Blindur frequenta, io credo che se ci fosse un po’ di convinzione in più, un po’ di audacia, un po’ di coraggio nell’osare, nel fare scelte non per forza compiacenti o comunque che cercano di compiacere il pubblico, perché poi non è detto che ci riescano, probabilmente anche noi riusciremmo ad avere più facilmente il nostro Bon Iver, piuttosto che i nostri Antony and the Johnsons e così via. Però siamo sempre un po’ timorosi, nel senso che l’Italia cerca sempre di fare scelte rassicuranti nei confronti degli altri e nei confronti di chi fa le scelte e questo fa sì che poi in Italia siano un po’ tutti uguali e a me prende un po’ male per questo.
In che modo la musica potrà uscire dalla crisi causata dalla pandemia?
Secondo me può farlo in due modi. Il primo è ridimensionando fortemente tutta una serie di pretese, nel senso che sicuramente per un po’ di tempo non si potrà suonare nei posti grandi, nei posti con tante persone, quindi anche gli artisti grandi o stanno a casa o si fanno il segno della croce e tornano a suonare come facevano quando erano piccoli, ammesso che l’abbiano mai fatto, perché poi il problema è anche quello, che ci sono molti che la gavetta sporca non l’hanno fatta; però per quelli che sanno precisamente da dove vengono, probabilmente tornare in quei posti piccoli a suonare per poche persone, inventandosi soluzioni diverse, può essere già un modo per ripartire. Credo che l’Italia sia ancora un po’ troppo indietro per l’apertura totale ai concerti in streaming, al digitale, anche se è una roba che non mi dispiace e penso che possa essere un tipo di produzione capace di coinvolgere molti operatori del settore, i fonici, i tecnici vari, videomaker, luciai, venue, organizzatori e quant’altro, quindi potrebbe essere un sistema per rimettere in moto l’indotto, ma ripeto, faccio fatica a pensare che l’Italia sia pronta a questo tipo di meccanismo e d’altro canto credo che gli artisti debbano e possano, soprattutto in questo momento, dare veramente sfogo a una serie di aspetti creativi nuovi, come quello di collaborare con altri artisti, perché sicuramente questo è un momento in cui è più facile stare in studio di registrazione. Stare fermi a ragionare e fare le cose insieme può cambiare un po’ le carte in tavola. D’altro canto si possono e si devono inventare modi nuovi per suonare dal vivo, per pubblicare dischi, quindi piuttosto che pubblicare dischi in maniera convenzionale, inventarsi cose diverse, non pensare più al supporto come a una cosa indispensabile, non immaginare per forza show spettacolari, ma magari ritornare a qualcosa di un po’ più essenziale, più intenso, che cambierà e cambia sicuramente anche l’approccio alla scrittura, agli arrangiamenti. Secondo me è un momento per assurdo favorevole alla creatività, perché c’è tutto da rifare da capo, c’è tutto un mondo da reinventare e di fronte a questo io sento un grande prurito, nel senso che mi piace, mi sembra una prospettiva interessante e che crea nuovi orizzonti nella mia testa, nuovi scenari, mi fa immaginare che si possano fare cose assurde, cose che magari fino a 7-8 mesi fa avremmo considerato una follia totale e invece adesso può essere l’occasione per tentare cose nuove. Manuel Agnelli in una circostanza diceva una cosa molto bella: “Sono tempi complicatissimi in cui non abbiamo più nulla da perdere, pensare di rimanere aggrappati a qualcosa è una follia, pensare di rischiare il tutto per tutto è l’unica cosa intelligente da fare quando non hai più nulla da perdere”. Io mi sento assolutamente in linea con questo pensiero.
Domanda Nonsense: Qual è la cosa più assurda che vi è capitata in tour?
La cosa più assurda capitata in tour… Ce ne sono talmente tante di cose assurde! Fammi pensare a una cosa veramente folle. All’estero sono successe cose incredibili. In tour in Europa, per esempio. Avevamo suonato a Parigi e poi facevamo tappa a Berlino. A Parigi i ragazzi del club dove avevamo suonato hanno pensato di omaggiarci, evidentemente ci hanno visti in faccia ed hanno subito capito che personaggi eravamo, ci hanno regalato qualcosa come tre casse di birra. Noi viaggiavamo in treno in quel tour e sostanzialmente è successo che il viaggio era molto lungo, queste casse di birra non volevano proprio arrivare a Berlino e quindi noi, che eravamo accampati tra un vagone e l’altro, abbiamo cominciato a stappare birre neanche fosse l’Oktoberfest e stavamo per essere cacciati dal treno mezzi ubriachi tra Bruxelles e Berlino, perché sostanzialmente avevamo fatto un accampamento, avevamo iniziato a suonare sul treno con queste birre aperte, non si capiva niente, un disastro.
Veramente potrei parlarti di notti passate in case in costruzione, o piuttosto di situazioni surreali per cui arriviamo in un posto convinti di dover fare un concerto e invece non c’era niente, nemmeno un cavo per mettere un microfono, per cui ci siamo dovuti inventare concerti acustici in mezzo al nulla. La lista sarebbe veramente chilometrica.
Foto di Riccardo Piccirillo