“Dazed” è l’album di debutto dell’arpista elettronica Kety Fusco, pubblicato lo scorso 8 maggio su etichetta Sugar. Nata a Pisa, ma svizzera di adozione, Kety Fusco ha iniziato a suonare l’arpa all’età di sei anni e non ha più smesso. “Dazed” rappresenta quella sensazione di stordimento che l’artista prova quando deve lasciare lo strumento e confrontarsi con la realtà.
Intervista di Egle Taccia
Ho letto la tua storia e mi piacerebbe che mi parlassi dello stordimento che ti ha portata alla pubblicazione di “Dazed”.
Prima di arrivare alla pubblicazione di DAZED ho vissuto un periodo intenso, avevo appena finito il Conservatorio e mi sono resa conto che dovevo iniziare a vivere in mezzo ad altri adulti che fanno cose adulte. E’ stato uno shock vero e proprio. Sono sempre stata una persona difficile da comprendere (pure io a volte non mi capisco) e le mie emozioni mi hanno sempre giocato brutti scherzi, anche se in un modo o nell’altro le ho sempre gestite. Non sentivo niente di profondo. Vivevo sensazioni ed emozioni superficiali; non mi arrabbiavo, non ero triste, non ero felice, non mi piaceva niente e mi piaceva tutto. Ma il mondo reale ha avuto un effetto devastante su di me. La mia vita improvvisamente cambiò. Mi sono sentita cadere nel vuoto. Sentivo tutto, ero cosciente ed avevo una paura folle di qualsiasi cosa. DAZED è nato per provare a dare una faccia a questi tormenti, è un raccoglitore emozionale della mia più tormentata esistenza. Dovevo farlo e dovevo farlo così.
L’arpa ti accompagna sin da quando eri bambina. Cosa rappresenta per te questo strumento?
L’arpa è un’amica meravigliosa, una compagna di vita direi. Non ti tradisce mai, quando ne hai bisogno lei c’è e ti dà sempre tutto quello che ti aspetti e ti serve per sentirti bene e in pace. È la “cura” della mia iperattività e dei miei tormenti.
Sei italiana, ma hai trascorso gran parte della tua vita in Svizzera. In che modo questi due Paesi ti hanno influenzata?
Sono nata e cresciuta fino a 20 anni in Italia. È il Paese che mi ha fatto scoprire e apprezzare l’arte, soprattutto del passato: studiavo arpa classica e ascoltavo moltissima musica d’opera. Quando sono arrivata in Svizzera invece, ho inizialmente fatto fatica a capire le loro tradizioni e la loro cultura, poi grazie al mio percorso di studi Master al Conservatorio della Svizzera Italiana, sono entrata in contatto con realtà musicali che non credevo nemmeno esistessero. Qui ho approfondito il mio sguardo verso il futuro.
Hai studiato moltissimo per arrivare dove sei oggi. Come coniughi la razionalità dei tuoi studi con l’istintività dell’arte e della composizione?
Devo dire che non sono mai stata veramente legata all’istituzione in sè, piuttosto al tipo di ricerca personale di cui avevo bisogno. Non studiavo perchè dovevo, ma perchè volevo scoprire qualcosa che mi serviva per stare bene. Ho avuto qualche problema in conservatorio soprattutto quando mi obbligavano a stare in orchestra: per me era la morte della mia libertà: non riuscivo a stare ferma per ore ed aspettare di suonare la mia battuta, non riuscivo a rispettare il tempo che chiedevano, diventavo pazza. Ho sempre avuto bisogno di suonare Bach e di suonarlo come volevo io, anche se non era il modo corretto. Credo che la mia istintività nell’arte sia innata e che il periodo degli studi e le sue regole siano state la benzina che ha alimentato ancora di più il mio bisogno di essere irrazionale.
Quando ti sei imbattuta nell’arpa elettrica?
L’arpa elettrica l’ho scoperta durante i miei studi musicali a Lugano: mi ero imbattuta in un corso chiamato “Improvvisazione libera” ed avevo scoperto un lato di me che mi piaceva, ovvero non suonare l’arpa come un’arpa, ma affrontarla anche in altri modi, come per esempio una forchetta sulle corde di metallo. Così ho deciso di spingermi oltre e di comprare un’arpa elettrica e testare questi suoni con loop station, delay e riverberi.
Che tipo di suggestioni cercavi per i brani dell’album?
Le suggestioni dei miei brani rappresentano principalmente dei mondi sonori. Mi piace pensare che ogni brano ha la sua identità, il suo posto. Alcuni sono più introspettivi, come “DISORDER” che parla della mia dualità. A tratti classica e ordinata e a tratti scomposta e distruttiva.
Come è nata la collaborazione con Sugar Music?
Sugar mi ha contattata su Instagram, mi seguivano da tempo e sono rimasti colpiti da un frammento di video live che avevo caricato da un mio concerto a Berna. Dopo il primo contatto social ci siamo trovati in studio e ho suonato loro i miei brani dal vivo: così è nata la nostra collaborazione.
In Svizzera sei stata nominata regina dell’arpa elettrica. Cosa hai provato nel ricevere questo apprezzamento?
E’ stata una sorpresa: mi trovavo agli Swiss Live Talents, ero stata nominata da una giuria di esperti e per me era davvero incredibile. Ero sul palco a prepararmi per lo show e uno dei miei pedalini non dava cenno di vita. Nel frattempo accanto a me in piedi c’era il presentatore che stava incitando il pubblico gridando: “ladies and gentlemen, The Queen Of The Electric Harp!!”. Mi sono sentita a disagio perché non funzionava niente e non potevo godermi quella presentazione, ma alla fine ho suonato tutto il set con quello che funzionava e dopo ho pensato “wow, the queen of electric harp!”.
Quando sarà possibile tornare sui palchi, che tipo di spettacolo hai in mente per il tuo pubblico?
Sto ancora lavorando al mio live show. Abbiamo moltissime idee, che stiamo testando con Sugar. Sarà qualcosa di unico, ma non posso ancora svelarvi niente.
Domanda Nonsense: L’arpa non è uno strumento facile da portare in giro, provi un po’ di invidia per i chitarristi?
Ehm, a dire il vero no! I chitarristi non hanno la possibilità di avere sulle braccia 80 chili di amore e 47 Raggi di sole 🙂
Foto di Adriana Tedeschi