“Diecimila felpe sporche della sera prima… grazie Catania”. E’ con un suo celebre verso riadattato per l’occasione ad accompagnare un video in cui scorrono le immagini di una Villa Bellini sold out e illuminata solo dalle luci di migliaia di telefonini, che Gazzelle – al secolo Flavio Bruno Pardini – si congeda e ringrazia tramite i suoi social il pubblico accorso in massa a infiammare la già torrida serata catanese.
Un bagno di folla e di entusiasmo per la seconda tappa del tour outdoor del cantautore romano classe ’89, che ritorna ai piedi dell’Etna a distanza di cinque anni dalla serata che lo vide aprire qui il suo Punk Tour nel 2019, e che fa il suo ingresso sul palco con quel “Ciao regà!” che è già cifra distintiva del suo stile e icona “gazzelliana” almeno quanto il look d’ordinanza: occhiali scuri e sneakers bianche, abbinati per l’occasione a un giubbotto blu a maniche lunghe con cui sfida impavidamente la canicola siciliana.
In scaletta venticinque canzoni per due ore dal ritmo serratissimo. L’onore dell’apertura va a Meltinpot, seguita da Fottuta canzone per sferzare d’energia l’atmosfera, e poi Però e ancora Lacri-ma, prima del solito gin tonic per dissetarsi. “Siete felici?”, chiede a bruciapelo, e al suo pubblico di giovanissimi non pare vero di potergli urlare all’unisono che sì: è felice di stare con lui. E lui ringrazia, ringrazia sempre. Si riprende con Sbatti e Vita Paranoia. Canta e parla, Flavio. “La Sicilia è bellissima regà, ma non lo dico come lo potrei dire da qualunque altra parte, qui è una cosa oggettiva. Mi piacciono molto Favignana, San Vito Lo Capo, Agrigento, e poi Siracusa che fa pure rima con… Scusa”. Ormai è padrone del palco, quel ragazzino partito dal Monk di Roma è già nell’Olimpo della ristretta cerchia di artisti a cui riesce di riempire gli stadi. Si ricomincia: è la volta di Settembre, e poi Coprimi le Spalle, dedicata alla mamma. “Alzi la mano chi è di Catania!”, e lo sorprende vedere che le mani alzate non sono poi troppe. “Ah, pensavo di più”, e così s’incuriosisce e va fino in fondo: “Alzi la mano chi è della Sicilia, sentiamo: da dove venite?”, e si compiace un po’ nell’ascoltare il florilegio dei nomi di città che si sollevano dal prato e dalla tribuna: sì, arrivano davvero da tutte le parti solo per lui (purtroppo non riuscirà a sentire la fan che gli urlava “Brasile, io sono del Brasile”, ndr). E lui ringrazia, ringrazia sempre, Flavio, a cui quasi non pare vero di toccare il successo dopo tanto sudore e tanta gavetta. Si riprende a suonare con Greta, Sayonara e Scintille accompagnate solo da piano e chitarra acustica. Siamo a metà concerto: è il momento di un secondo gin tonic, anche perché “nel primo mancava la menta, non era buono. Come Morgan”. Non si nasconde Flavio, e così dimostra che “ci metto la faccia” non è soltanto il verso di una canzone scritto per suonare bene con una melodia, ma uno stile di vita, ché coi testi lui racconta se stesso. E ancora: Una canzone che non so – “E’ una delle mie preferite”, confessa – e poi La prima canzone d’amore, dedicata alla fidanzata mentre ammette sornione che “Io sono un po’ chiuso, un po’ triste, un po’ stronzo… però anch’io merito un po’ d’amore”. Ricomincia, e via di seguito: Tutto qui, il raffinatissimo brano sanremese che gli ha spalancato le porte del pubblico intergenerazionale e della notorietà amplificata (“Vado a Sanremo per aggiungere al mio pubblico anche la casalinga di Voghera”, disse prima del Festival), e poi Punk, Quella te, Non sei tu. C’è tutto il romanticismo di Gazzelle in questa serata catanese di metà luglio. E’ il romanticismo a modo suo, quello malinconico e un po’ rude alla Bukowsky, non certo quello melenso alla Moccia (come lui stesso ha tenuto a precisare in qualche intervista, aggiungendo che “le parole dirette e insozzate sono più vere”). E dal romanticismo “alla Gazzelle” nasce Destri, il penultimo brano della serata, sicuramente tra i più attesi del live: straordinario successo di pubblico e di critica scritto in appena due ore, dopo il lockdown; il pezzo per cui Max Pezzali s’è sbilanciato al punto da definirlo la canzone d’amore più bella degli ultimi vent’anni. La cantano tutti a squarciagola, Destri, in un crescendo di emozioni ed entusiasmo. Siamo alla fine, c’è il tempo per l’ultima sigaretta. E per ringraziare ancora una volta: “Se sono qui, se faccio ancora questo mestiere, è solo merito vostro: vorrei scendere ad abbracciarvi uno per uno, ma… non scenderò” (e la security tira un sospiro di sollievo). E’ arrivato il momento di congedarsi, e per farlo ha scelto Tutta la vita”. La voce di Flavio si confonde con le migliaia di coriandoli lanciati verso il cielo, i cellulari ormai scarichi puntano in alto per riprendere gli ultimi frame di una serata da incorniciare. Si inginocchia, ringrazia un’ultima volta e saluta: “Che Dio vi benedica”. E giù applausi. In attesa di altre tappe nel 2024. Aspettando San Siro e il Circo Massimo nel 2025. “Dai Flavio, cammina”.
A cura di Lisa Gallo