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I grattacieli di Cabeki e gli orizzonti di città invisibili [Recensione]

Andrea Faccioli (alias Cabeki) è un musicista che ha saputo sviluppare un proprio linguaggio immaginifico, consolidato da una esperienza maturata in produzioni di livello, come l’album “Non ce la farai, sono feroci come bestie selvagge” del 2016 in cui si addentrava con grande sensibilità nelle pieghe di un microcosmo intimista. Con il nuovo “Da qui i grattacieli erano meravigliosi” Cabeki prosegue nella elaborazione di una musica intesa come sonorizzazione di paesaggi immaginari, di perimetri urbani invisibili e congerie di vasta umanità dispersa in spazi vuoti. Il senso della musica che attraversa questi nuovi otto brani ha uno spessore intellettuale vicino a ciò che si definiva come library music, intesa come strumento di accompagnamento visivo ed esaltazione in chiave descrittiva di immagini interiori.

Nella musica di Cabeki chi si pone nella prospettiva dell’ascoltatore accetta di non essere mero osservatore di un fondale, ma di diventare protagonista di un percorso in cui il viaggio viene definito dalle sollecitazioni che le sfumature dei brani propongono e che si liberano dalle varie soluzioni armoniche. Rispetto all’album precedente, oggi Cabeki ha una maggiore propensione ad abbandonare ogni rimando e ad affidarsi a se stesso, proprio perchè prevale su tutto una visione pienamente originale che rende ogni brano una sorta di unico racconto personale con angolazioni ogni volta diverse. E’ proprio questa la specificità di una scrittura pensata per delineare una linea di demarcazione tra l’oggettività reale ed il mondo del possibile, utilizzando come bussola per orientarsi lo strumento della musica. I grattacieli del titolo sono il prodotto di un’architettura visionaria applicato a città vuote, neutre come la luce del giorno a venire dove tutto è ancora cristallizzato. In qualche misura il disco è un concept sul declino di metropoli un tempo avveniristiche ma oggi solo luoghi svuotati, metafore di un progresso che lascia macerie e sottrae spazio alla vita. Faccioli fa tutto da solo con un apparato sonoro giocato sulle modulazioni di una chitarra acustica il cui segnale viene suddiviso in quattro canali differenti (suono acustico; amplificatore con tremolo; delay digitale granulare / octaver; echo a nastro Wem Copicat), oltre ad un synth Animoog suonato con un controller a pedali ed una drum machine vintage.

L’opener Oscurati dalle Nuvole è un debito verso i Pink Floyd di “Obscured by Clouds” e le immagini del film “La Vallée” di Barbet Schroeder, la successiva Da Qui ha un mood interlocutorio e noir, mentre la title track I Grattacieli erano meravigliosi ricorda le sospensioni ritmiche di “Aerial Boundaries” di Michael Hedges. Dopo la malinconia dalle nuances post rock di Alberi nel Deserto, incontriamo il blues di Steli di Cristallo, vicino al fingerpicking di Jorma Kaukonen. Da segnalare il classicismo di Al futuro, brano elaborato come omaggio a Tarrega, Ponce e Villa Lobos, destinato a destrutturarsi in mille spore, e la conclusiva Una fragile memoria con le sue traiettorie oblique che esprimono un senso di smarrimento collettivo. “Da qui i grattacieli erano meravigliosi” è un album in cui Andrea Faccioli imbraccia una cinepresa invisibile per farsi regista di un film che proietta mura ciclopiche in rovina ma da cui filtra una luce misericordiosa che asciuga le lacrime e lascia sperare in un domani migliore.

Giuseppe Rapisarda

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Avvocato, appassionato di musica. Da quando il padre gli regalò la cassetta di "Outlandos d'Amour" dei Police non ha più smesso di comprare dischi. Sa essere concreto anche se, di tanto in tanto, si rifugia in un mondo ideale sospeso tra le canzoni di Neil Young e le divagazioni oniriche dei romanzi di Murakami.

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