Titolo altisonante per l’ultimo lavoro di Julian Cope: il Druido del rock UK attinge alla storia della letteratura inglese, prendendo in prestito il titolo “Self Civil War” da un poemetto di 8 versi composto dal reverendo Roger Brearley nel remoto 1630, ovviamente riportato nel booklet. Benché il nome di questo oscuro personaggio non dica molto al giorno d’oggi, assai più interessante è il periodo preso in considerazione da Cope, la cui passione per la storia e la preistoria è ben nota ad estimatori e studiosi: sono difatti gli anni della rivoluzione inglese e del caos politico e sociale, una situazione che egli ravvede nell’attuale Inghilterra del post Brexit, “troubled times” oggi come allora, che egli decide di cantare in questo ultimo album.
Divisioni interiori ed esteriori, il caos, la simbologia druidico/norrena, citazioni sulla situazione politica, su Facebook e persino sullo scandalo delle emissioni della Volkswagen: Julian Cope raccoglie e canta di tutti questi temi in un album che definiremmo come un perfetto esempio di “apocalyptic blues”. Nei tredici brani dell’album, il nostro intona una serie di sarcastici e sconsolati inni alla definitiva decadenza di una società occidentale che ha ormai perso il senso del sacro e della natura stessa.
Il Druido, sembra contemplare con distacco il tramonto di Albione e dell’intera società contemporanea dal suo cerchio megalitico, rassegnato ma non triste per la fine di questa nuova era. Il canto è più simile ad una narrazione, le visioni sonore alcoliche e psichedeliche del passato lasciano il posto ad un lucidissimo blues sulla fine del mondo, capace di ricordarci a tratti gli “Strange Days” di morrisoniana memoria. Le porte stavolta, tuttavia, sono sul punto di chiudersi, e queste canzoni suonano come un requiem sulla fine dei tempi.
“Self Civil War” è un concept bizzarro, eclettico ed assai articolato, nel quale Julian Cope ci riporta ai tempi di “Jehovahkill” o anche di “20 Mothers”: strutturato come una narrazione epica di questo particolare e confuso periodo storico che stiamo attraversando, l’album suona tuttavia come uno degli ascolti più impegnativi nella discografia del Druido. Lungo ben 72 minuti e privo di una vera e propria hit, “Self Civil War” è un’opera sofisticata che esige un attento ascolto anche ai fan di vecchia data, motivo per cui certamente non lo riteniamo il disco più accessibile per chi decidesse solo oggi di scoprire Julian Cope. Ad ogni modo, dopo il divertente ma assai meno interessante “Drunken Songs”, abbiamo ritrovato un “Saint Julian” in ottima forma sia sotto l’aspetto compositivo – merito di una scrittura ispirata e di melodie di indubbio fascino – sia per quello esecutivo, con la voce del nostro suggestiva e magica come nei momenti migliori.
Tracklist:
- That Ain’t No Way to Make a Million
- A Cosmic Flash
- You Will Be Mist
- The Great Raven
- Berlin Facelift
- Immortal
- Einstein
- Billy
- A Dope on Drugs
- Your Facebook, My Laptop
- Requiem for a Dead Horse
- ‘Self Civil War’
- A Victory Dance