Scrivere nella narrativa così come nella poesia di rinascita interiore e, quindi, per conseguenza, di senso della vita, resta indubbiamente uno degli argomenti più delicati e complessi da trattare. Raccontare di crisi esitenziali, di morte e – appunto – di rinascita quale ritorno effettivo alla vita e alla voglia di vivere in primis, può facilmente scadere nel banale, nel retoricamente melodrammatico e arrivare al lettore in modo distorto ed inadeguato rispetto a quel che sono in realtà poi il valore, l’importanza ed il significato del tema medesimo. Se l’autore non riesce a trattarlo con capacità narrativa oltre che gusto e sensibilità artistica, rischia di suscitare nel lettore un ovvio effetto negativo sia che il lettore ne sia consapevole, sia che riceva emotivamente un messaggio equivocato.
Leggendo il nuovo libro dell’autrice romana Anna Maria Bonamore, “Rinascita”, edito da Ed. PanDiLettere, da subito ci si accorge che ci si trova davanti ad un testo che “sa bene” ciò che racconta e come lo racconta. Già dalle prime pagine si denota una sensibilità profonda e una delicatezza che accompagnano il lettore per tutto il libro. L’autrice è anzitutto una donna sensibile e attenta, acuta osservatrice, prima che della realtà circostante ed in particolare dell’universo femminile, dell’anima umana. Senza che ce ne rendiamo conto, ci trasporta in un viaggio nei meandri dell’animo, femminile nella fattispecie, dettagliato e preciso quasi a farne una vera e propria disamina, senza mai farlo direttamente e schiettamente, perchè da talentuosa scrittrice poetica quale è per sua indole, corroborata dalla sua capacità narrativa, riesce a descrivere stati emotivi e sentimenti con effettiva precisione. Quante di noi si sono sentite gratificate nel ricevere un’attenzione inattesa dal nostro compagno, o mortificate nella femminilità dall’opportunismo maschile; o intenerite da un gesto, una frase teneramente buffa del nostro bambino. Stati d’animo e sentimenti, che citati così possono passare inosservati, e che però quando leggiamo immersi nel romanzo ci arrivano in tutta la loro potenza e realtà. Ed ecco che il lettore davvero si ritrova nelle rapide emotive della protagonista, la bella e solare Sonia alle prese con il suo quotidiano vivere, in generale sereno ma, invero, non troppo e non proprio. Leggere di Sonia è come incontrarla nella realtà, viverla, conoscerla o – si potrebbe dire – riconoscerla perchè in fondo risulta l’emblema di ciascuna di noi, nei chiaro-scuri dell’essere donna. Essere donna in una società in cui, ancora purtroppo, questo equivale a fare i conti con un sistema che non ci identifica in ambiti e ruoli sociali. E pure sentimentali ed emotivi, aggiungerei, data la storia raccontata. Una storia che, come scrive l’autrice medesima “è certamente romanzata, non è del tutto inventata e ciò che non è reale è comunque verosimile, in una società in cui molto ricade ancora sulle spalle delle donne alle quali poco è poi riconosciuto”. Una storia che parla di una vita “comune” a moltissime donne, del riuscire a barcamenarsi tra lavoro, famiglia, annessi e connessi del quotidiano vivere e che ad un certo punto prende una piega imprevista, inimmaginata e lontanissima da quello che era stato il suo corso fino a quel momento. Senza entrare nello specifico della trama, onde lasciare al lettore il piacere di scoprirlo da sé, assaporandone il bello dell’arte narrativa della Bonamore, va bene anticipare che la vicenda di Sonia è umanamente assai forte e sconvolgente, allorchè la protagonista verserà per tutta una serie di situazioni non propriamente volute dalla stessa, in una condizione esistenziale che lei per prima, per sua personalità, per educazione, per ambiente familiare e sociale non avrebbe mai supposto. Eppure… Strana la vita! L’abisso più buio, la degradazione più assoluta, la lacerazione psico-emotiva più feroce. Eppure… Sorprendente la vita! Ma, ecco emergere nel e dal dolore più intenso e invasivo, la forza di volontà dell’essere umano e la voglia di vivere, di reagire, di risalire dal fondo più oscuro. Attraverso la fede in ogni verso. La fede in sé stessi e nella propria volontà, prima che in un Dio il quale resta lì e ci osserva, magari accogliendoci se ci rivolgiamo a lui.
Un romanzo che assolutamente, malgrado narri di un vissuto di sopraffazione psicologica e disfacimento psico-emotivo, fisico persino, vuole dare un messaggio positivo e di fiducia in sé stessi nelle proprie capacità di ripresa e di mutamento esistenziale, rammentandoci che davvero l’essere umano, se lo decide, se lo vuole, può operare la meraviglia della ri-nascita.
Colpisce la trasformazione psicologica della protagonista che tocca tutte le sfumature della gioia così come quelle della sofferenza, in un crescendo di decadimento emotivo che pare non avere mai fine.
Sonia nella sua Napoli è una moderna Parthenope, figura mitologica dal carattere simile alla nostra eroina e con la cui personalità si fa spesso un parallelismo. Entrambe belle, solari, positive, piene di vita e di amore per il proprio uomo e per il mondo stesso. Tuttavia, mi piace invece associare di più la personalità di Sonia con quella di un’altra figura letteraria simbolo di rinascita esistenziale: la determinata e caparbia Rossella O’Hara del celebre “Via col vento”. Come Rossella, infatti, anche Sonia dovrà vedersela con una sorte beffarda alla quale sembrerebbe non sfuggire. Anche Sonia dovrà scegliere se soccombere o salvarsi e, dunque, lottare con tutta se stessa per ritornare a vivere. Ed ecco che a questo punto accade quello che in un individuo fa la differenza: la scelta. Scegliere la vita o la morte. Ossia quel fenomeno che possiamo vivere concretamente con le nostre scelte, quelle che ci portano a cambiare completamente il nostro futuro. E a ricominciare da capo.
Laura Rapicavoli
