S’intitola Sesso, droga e lavorare ed è edito dal Saggiatore il nuovo romanzo de Lo Stato Sociale.
Il collettivo bolognese, dopo il successo di “Il movimento è fermo” e di “Andrea” torna ad affacciarsi al mondo dell’editoria a conferma della volontà di non limitarsi al solo campo musicale.
L’esigenza di fare sempre cose nuove e diverse è da sempre uno dei motori della band che sceglie di tornare con un romanzo di formazione generazionale che riflette sul mondo del lavoro di oggi e su cosa significhi crescerci dentro.
Intervista di Egle Taccia
Sesso droga e lavorare è il vostro ultimo romanzo. Cosa volete raccontarci con questo nuovo capitolo della vostra carriera letteraria?
Albi: Abbiamo pensato di racchiudere una serie di esperienze vagamente biografiche, ma per la maggior parte in realtà di fiction, esperienze che riguardano il mondo del lavoro, il mondo della crescita personale, all’interno di un personaggio che si chiama Arturo e questo Arturo affronta la sua vita, dall’adolescenza fino ai suoi 40 anni, attraverso l’esperienza nel mondo del lavoro, le esperienze con le sostanze, quelle con l’altro sesso, con l’amore, tutto questo per cercare di raccontare e di fare una foto di un percorso di vita che può essere simile a quello di molti, simile al nostro, ma anche diverso, perché il protagonista subisce molto i condizionamenti del sistema e quello che gli capita, senza mai prendere delle decisioni chiare, e non ha la fortuna di incontrare molte persone con cui condividere successi o tentativi di fare delle cazzate divertenti e, soprattutto, non riesce a trovare al di fuori di sé e dentro di sé gli stimoli per cambiare quello che gli viene imposto, quindi è un uomo che subisce i condizionamenti del sistema e sarebbe stata, fondamentalmente, la nostra storia se non avessimo avuto la fortuna di incontrare le persone giuste.
In che senso può considerarsi un romanzo di formazione?
Albi: Per definizione, un romanzo di formazione racconta un percorso di un individuo dall’infanzia, attraverso l’adolescenza, finché non approda nell’età adulta e diventa un uomo fatto, finito e formato nella sua personalità. Questo è quello che succede. Cronologicamente inizia con i 17 anni di Arturo, inizia dalla scuola, passa attraverso l’università, il mondo del lavoro, gli affetti e la famiglia e finisce a 40 anni nel futuro. Abbiamo provato ad inventarci un futuro possibile, soprattutto dal punto di vista del mondo del lavoro, anche con elementi di “fantascienza”.
La nostra generazione tra precarietà e crisi non è molto fortunata. Avete cercato di raccontarla in questo libro?
Albi: Sì, il crollo delle certezze è uno dei temi che porta poi il protagonista a non prendere mai una decisione chiara e ad essere un po’ vittima degli eventi. Sono eventi che si susseguono abbastanza rapidamente, perché spesso al giorno d’oggi, così come si cambia idea da un giorno all’altro cambiano anche le richieste, le proposte, le possibilità, che alle volte non ci sono e delle altre ci sono, ma non sono soddisfacenti, e quindi spesso ci si ritrova a doverle accettare o in qualche modo a non riuscire più ad immaginare con linearità il futuro; così lo si pensa in modo molto frastagliato. Tutto questo dal mondo del lavoro, in genere, si ripercuote anche sui sentimenti e sulla vita.
Pensate che la nostra generazione riuscirà prima o poi a riscattarsi da tutte le vessazioni subite?
Albi: Se imparerà a consapevolizzarsi sul sistema credo di sì, se invece rimarrà legata a un’idea di un mondo che non esiste più farà fatica, e lo dico da uomo di mezzo tra le varie generazioni ormai, perché comunque chi ha vent’anni adesso è già nella forma mentis che è richiesta dalla società in cui viviamo, parlando ovviamente della società occidentale, mentre chi è più anziano deve riuscire a reinventarsi un po’ e cercare di fare buon viso a cattivo gioco, affrontando le storture con un certo piglio e una certa consapevolezza. In quel caso ci si riesce, altrimenti no.
Noi vi conosciamo soprattutto per la vostra musica. Cosa deve aspettarsi chi si approccia ad un vostro libro per la prima volta?
Bebo: Forse un allargamento e un completamento di alcune tematiche che poi sono anche trattate nelle canzoni. Sia con “Il Movimento è fermo” che con “Andrea” che con “Sesso, Droga e Lavorare” abbiamo inserito le poetiche che normalmente utilizziamo nei brani, che qui vengono espanse e strutturate in una forma necessariamente più complessa rispetto al necessario schema canzone.
Ci ritrova sicuramente la band, ma anche un posto in cui poter godere di alcune cose in maniera diversa, una naturale prosecuzione.
Voi avete un modo di raccontare con ironia anche le cose peggiori. Chi si trova a vivere momenti di difficoltà come quelli spesso da voi raccontati, dove deve trovare la forza per superare tutto e affrontare la vita col sorriso?
Bebo: Sicuramente non nei libri dei santoni, non nelle guide per campare 120 anni, ma neanche nei nostri (ridono n.d.r.). Diciamo che, in generale, nella cultura e nell’arte sicuramente ci sono dei mondi immaginifici dove potersi rifugiare; per quello che riguarda lo stare nella realtà più stretta, noi siamo un collettivo e, profondamente contenti di questo, spingiamo alla collettivizzazione delle persone, a non rimanere da soli e a cercare qualcuno che ti somigli anche solo un po’. Questa ricerca ovviamente ha a che fare con delle dinamiche che un po’ sono legate al caso e un po’ a cosa offre il mondo. Se abiti in un paese di 16 abitanti, a 400 km dalla civiltà più strutturata, magari è più complicato, però ci sono tanti modi. Credo che i social, e in generale internet, diano questa possibilità in maniera piuttosto inclusiva e democratica per quanto poi esistano delle distorsioni dell’utilizzo.
A proposito di collettività. La gente è tornata in piazza e questo fenomeno è partito proprio dalla vostra città, Bologna. Cosa ne pensate di questo nuovo modo di occupare le piazze?
Bebo: Come al solito quando ci sono questo tipo di temi dismettiamo il plurale ed ognuno parla per sé, perché fortunatamente il collettivo non omogenizza alcune visioni dell’etica, dei valori e della politica. Personalmente trovo che sia sintomatico, nel lato positivo del termine, e affascinante per alcuni versi, dall’altro lato trovo questa fascinazione interrotta a un primissimo livello, perché poi, aperto il contenitore, c’è poco del contenuto, o almeno del contenuto che mi piacerebbe trovarci dentro. Personalmente, sono incuriosito di vedere cosa può succedere in merito a questo movimento di piazza, una fetta della sua imprevedibilità secondo me ha a che fare con l’assenza di struttura, quantomeno ideologica. Per il resto stiamo a vedere.
Albi: Sintetizzando molto, i pro sono la capacità di riempire le piazze con uno stratagemma affascinante e funzionale ai tempi, e i contro sono la mancanza di contenuti a cui si può porre riparo. I contenuti si possono riempire, speriamo che non vengano riempiti con dei contenuti del cazzo.
Domanda Nonsense: Quali caratteristiche deve avere un libro per farsi lasciare a metà?
Albi: Potrebbe essere troppo articolato e complicato da non riuscire ad essere affascinante sin da subito, poi c’è a chi piace e chi si appassiona a quelle cose lì. Se ci sono descrizioni troppo lunghe mi annoio in fretta, perché non sono un sognatore che si immagina le cose dalle parole, mi piace molto l’azione. Se c’è poca azione lo lascio a metà.
Bebo: Devo confessare che avrò lasciato a metà pochissimi libri nella mia vita e molto diversi tra loro. Sono uno stoico. Sarebbe più facile dirti, per come sono fatto io, cosa deve avere un film o una serie tv per farsi mollare a metà, lì saremmo davvero drastici e cattivi, mentre sulla letteratura, e sulla narrativa in generale, penso che debba essere proprio scritto male, povero sotto ogni punto di vista, e comunque anche le cose più povere alla fine le ho lette per vedere come andasse a finire.
Albi: Però, se è scritto male, già dalla terza pagina hai voglia di morire, se ci arrivi.