Giulia Di Gregorio, in arte LOGO, si avvicina giovanissima al mondo della musica e in particolar modo al punk come bassista e cantante. Dalla provincia di Verbania arriva a Milano, dove per un periodo suona come turnista dei Van Houtens, poi scappa in Cile per un piccolo tour acustico con un compagno di viaggio tedesco. Reduce da questa esperienza torna a Milano dove avvia un progetto solista utilizzando il suo soprannome.
Dopo l’uscita del singolo di esordio Samurai e di CDB, LOGO torna con un nuovo brano, “Pugni”, pubblicato il 9 giugno, che racconta quella fatica e quella sensazione di insuccesso che si provano quando la vita ci mette al tappeto.
Il brano è impreziosito dal riff iniziale di Aaron Bautista, giovane artista emo-trap. Pugni, come Samurai e CDB, è prodotto da Simone Lanza WaxLife.
Intervista di Egle Taccia
Mi parli del percorso che ti ha portata a diventare LOGO?
Io, Giulia Di Gregorio, nasco come bassista e cantante. La vita da palco mi ha insegnato praticamente tutto. Dopo una bellissima esperienza come turnista al basso dei Van Houtens, il gruppo di Alan Rossi, caro amico, mi sono trasferita in Cile dove ho suonato insieme ad un amico tedesco di nome Jonas. L’esperienza nella scena musicale di Valparaìso, città dall’anima artistica, è stata unica. Ogni settimana suonavamo in un posto diverso, c’era molto fermento e io non mi stancavo mai di suonare. Una volta tornata in Italia ho iniziato a pensare ad un progetto tutto mio, LOGO, appunto. Ho scelto LOGO perché è il mio soprannome e ho pensato fosse un nome perfetto per un progetto solista.
Quali sono gli artisti che ti hanno influenzata maggiormente?
Florence Welsh, Elisa, Cosmo, Rino Gaetano e la scena prima punk rock e poi indie californiana. In maniera più o meno raffinata, più o meno pop, parlando o meno di sé, ho percepito in tutti gli artisti che ho citato l’urgenza di esprimere qualcosa e di farlo con uno stile tutto personale, cercando di portare sempre qualcosa di diverso.
Che tipo di suoni cercavi per la tua musica?
Volevo un mood electro-pop, un po’ evanescente e intimo, a tratti una power hit tamarra. Volevo pochi suoni ben amalgamati, che facessero risaltare la linea vocale e supportassero il testo. Ho faticato a trovare il collaboratore giusto con cui fare una ricerca stilistica insieme, Simone (Waxlife) Lanza ha cucito dei vestiti bellissimi sui miei brani. Anche Aaron Bautista, che ha scritto il riff iniziale di Pugni, è riuscito a individuare il mio mood, mi fa piacere. Significa che la messa a fuoco stilistica di LOGO c’è, anche se mi concedo sempre di sperimentare.
“Pugni” è il tuo terzo singolo. Cosa ha ispirato il brano?
Quando ho scritto Pugni stavo affrontando un lutto. Dopo la tristezza è subentrata la rabbia. Penso di avere una scrittura molto visiva, i miei testi sono un elenco di immagini una dopo l’altra. Pugni è leggermente diversa, si sente che è scritta di getto e a volte non si capisce dove vada a parare, è figlia di una valanga di emozioni. È una canzone simbolo di lotta, di pugni, di sudore, appunto.
In che modo i pugni hanno a che fare con una canzone d’amore?
È una canzone che parla di rabbia, di un affetto sottratto. I Pugni sono simbolo della lotta interiore e della rabbia che avevo contro il mondo per quello che dovevo passare. Ho pensato tanto a come nominare la canzone e uno dei titoli papabili non a caso era Da Sola, poi Pugni mi è sembrato un nome più adatto, sono il simbolo della rivoluzione per eccellenza.
Ogni volta che ti capita di cadere cosa ti dà la spinta per rialzarti?
Di solito paragono le difficoltà della vita all’arrampicata: quando una mano cede, ho spesso un secondo appiglio: il mio lavoro come designer, la musica, progetti in generale. A volte capita che entrambe le braccia cedano e lì puoi contare solo sul tuo compagno che ti rende sicura: il mio ragazzo, la mia famiglia, i miei amici più cari sono la mia corda che non mi fa mai cadere.
Domanda Nonsense: Cosa non può mai mancare nella tua borsa?
Le cuffiette per ascoltare la musica, una volta me le sono dimenticate e il viaggio in treno è diventato infinito. Non so voi, ma senza musica trovo tutto più bi-dimensionale, piatto.