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Management – La dura battaglia contro il tempo [Intervista]

“Sumo” è il nuovo album di inediti del MANAGEMENT, uscito il 13 novembre per Full Heads / distr. Believe/Audioglobe. Si tratta del quinto album in studio della band composta da Luca Romagnoli (voce e testi) e Marco di Nardo (chitarra e compositore), già noti come Management del Dolore Post-Operatorio.

È un album che sposta la visione collettiva della formazione su un piano più intimo e personale, dove il tempo che passa, portandosi via gli affetti, è il vero nemico da sconfiggere. Una spremuta di cuore condensata in 10 brani.

Egle Taccia ha scambiato qualche battuta con Luca Romagnoli.

Iniziamo parlando del titolo. Come mai avete scelto di chiamarlo “Sumo”?

La canzone l’hai sentita, quindi sai che c’è questa difficile battaglia contro la vita, contro il tempo. Il tempo è una cosa inesorabile che non puoi fermare e nel brano c’è questa metafora del lottatore di sumo, questa cosa pesante, questo professionista, questa figura che cerchi di fermare, di bloccare, perché il tempo ti porta via le cose, le persone, le esperienze. Passa il tempo e queste cose te le lasci dietro, spesso te le dimentichi pure. Questo disco, anche se sembra aver perso quella forza provocatoria che avevamo, in realtà l’ha spostata sulla vita. C’è un’altra battaglia ancora più sfacciata di prima, la battaglia contro qualcosa di imbattibile come la vita e il tempo che passa, contro il dolore, che sono cose che dobbiamo accettare a tutti i costi, ma questa accettazione è al tempo stesso umiliante, perchè tutti sappiamo che dobbiamo morire. C’è questo senso di lotta continua contro qualcosa, anche se sai che la sconfitta è assicurata.

Tutto il dolore post-operatorio se ne va dal titolo, dove poteva avere una funzione più estetica che altro, perché a un certo punto le persone hanno cominciato a chiederci solo la fenomenologia estetica da palco. Abbiamo avuto, a tratti, la sensazione che più che i contenuti qualcuno volesse solo la follia, solo la pazzia, solo il casino, buttato, sprecato, energia sprecata, mentre abbiamo voluto con questo disco concentrare tutto sulle parole, sulla musica, sulla composizione, sull’arrangiamento e sulla produzione. Volevamo che ci fosse la musica e basta, quello che può essere la forza di una canzone, dei sentimenti, dell’emotività. Abbiamo deciso di spostare questa battaglia all’interno e non all’esterno, ed è la battaglia più dura, perché è quella in cui perderemo tutti, è la battaglia contro il tempo, contro la vita, però nonostante questo noi non ci vogliamo arrendere al dolore, alle assenze. “Vorrei ricordare per sempre una cosa” è un po’ la linea del disco, un filo conduttore, non voler dimenticare le cose perché fanno male, ma volerle affrontare e volerle avere sempre con te, perché quel dolore fa parte di noi, ma dimenticarlo è un po’ come dimenticare ciò che abbiamo amato e quindi è l’equivalente di non aver amato. A un certo punto “Soltanto Acqua”, nello special, dice “questo dolore che mi porto dentro è l’unica cosa che mi parla di te”, dice “ho paura di guarire, ho paura che questo dolore passi”, perché se passa questo dolore c’è stata l’accettazione di quello che è successo, di questa persona che non c’è più. Io voglio avere per tutta la vita questo dolore, conviverci piuttosto che dire “ok va tutto bene, me lo dimentico”. Come si può dimenticare la scomparsa di una madre o la fine di un amore o di una grande amicizia? Sono tutti amori. Dimenticarlo vuol dire “ok sto a posto, va bene così, la vita è così, morta mia madre va tutto bene, tanto tra cinque anni passa”. No, non voglio che passi, quello che provo rimarrà sempre vivo dentro di me, per sempre. Se io lo provo, rimane vivo sotto forma di dolore, anche se non lo riesco a trasformare in un ricordo piacevole. Nel disco è anche presente la malinconia, che è un sentimento bello, perché come diceva Alda Merini è la gioia della tristezza. La gioia di vivere male si è trasformata in questo, nella gioia di questa tristezza, perché è la gioia del ricordo che voglio avere per sempre, anche se mi fa male, ma non lo voglio cancellare, perché cancellarlo vorrebbe dire accettare che le cose vadano così. Io non accetterò mai che una persona che amo possa morire.

L’Auditorium Novecento di Napoli (ex Phonotype), luogo dove è stato registrato l’album, ha giocato un ruolo importante nel disco. Me ne parli?

Sì, quello è il luogo, con le magie che vi abbiamo raccontato, con gli esseri mitologici che ci sono passati, che ti fa rendere conto di certe cose. Sai, a volte si dice “non facciamo paragoni”, non si devono fare assolutamente paragoni, non è che cominci a suonare e pensi a fare una sfida contro Jim Morrison, per fare un esempio banale, però in realtà quando tu suoni, piccolissimo o grandissimo che tu sia, ti metti sempre a confronto con i tuoi miti, con te stesso e con il tuo passato, con le cose che hai ascoltato, perché sono dentro di te e fuori di te, quindi in un certo senso tu sei nel gruppo di quelle persone che provano ad esprimersi attraverso l’arte, le parole, la musica, la pittura, ecc. È vero che non fai paragoni, ma è anche vero che ti senti responsabile di qualcosa e pensi: “io sto nello stesso posto dove Murolo ha registrato una canzone, dove Totò ha registrato due battute e ha scritto un testo, dove Eduardo De Filippo ha registrato delle cose per la televisione”. Questo ti fa sentire responsabile, capisci che la questione è seria, nonostante sia inutile fare paragoni, ti senti responsabile di una storia e ti vengono i brividi perché sei dentro qualcosa di molto più grande di te, però ti rendi anche conto che tutto può succedere, che sei dentro al sogno, ed essendo dentro al sogno tu devi sognare, devi fare bene e ogni volta è come la finale di Champions League. Pensi a non sbagliare, perché ogni disco per un gruppo è sempre la finale di Champions League, ogni canzone è la finale di Champions League, per questo pensi a dare 150 piuttosto che 100, da uno a dieci mille, soprattutto quando vivi la magia di questi posti, in una città come Napoli, scelta proprio per questo disco. Quando vivi i sentimenti che hanno i napoletani, i sentimenti di questa città, che è stata la culla della musica e del teatro, conosciuta in tutto il mondo, non puoi non emozionarti. Non ci dimentichiamo che “‘O sole mio”, come tante altre canzoni della nostra tradizione, sono state riprese da gente come Elvis Presley, che ai tempi guardavano all’Italia come alla culla della cultura. Ti senti in mezzo a tutto questo, ti senti responsabile e ti senti di dover fare le cose al meglio che puoi.

Qual è l’aneddoto che avete ascoltato in quello studio e che vi ha maggiormente commosso?

Ce n’è uno che mi riguarda personalmente. Quando ero piccolo mio padre era molto preso, lavorava tanto e, quando ha pensato di farmi un regalo, io quella cosa l’ho custodita sempre con molta cura, perché era una cosa speciale. Sai, oltre al classico regalo per il compleanno, l’onomastico, è successo un paio di volte che mi abbia portato due cose dal niente, che sono quelle cose che ti ricordi. Una volta era la videocassetta di un cartone animato di Walt Disney con due topolini, Bianca e Bernie, e infatti io adoro i topi, la gente si impaurisce e invece per me il topolino è l’animale più bello del mondo, il topo di fogna magari no, ma il topolino sì. Poi, mi regalò un’altra cassetta, che era “Totò Peppino e la Malafemmina”, che ho visto 200 volte, appassionato di questo regalo che mi aveva fatto mio padre. Un giorno mi hanno detto che in quello studio Totò, in un angolo, aveva scritto il testo di “Malafemmena”. Poi ci sono tante altre leggende che vogliono che l’abbia scritto da altre parti, perché quando uno è un mito le leggende sono infinite, non conta la verità. C’è un detto norvegese secondo cui chi dice solo la verità non è degno di essere ascoltato. La leggenda fa parte dell’arte, ma pensare che nel posto dove io stavo cantando, in un angolo si era seduto Totò e aveva scritto “Malafemmena”, mi faceva piangere ogni cinque minuti. Pensi “sto nello stesso posto, magari sto cantando allo stesso microfono, qua dove sto io c’era lui a fare due battute”, queste cose mi fanno impazzire, su queste cose sono estremamente sensibile, posso piangere tutto il giorno.

Spesso vi siete rivolti al sociale. Questi brani invece sono frutto di una profonda riflessione interiore?

La battaglia l’abbiamo tolta dal sociale e l’abbiamo messa sul filosofico. È ancora più dura di quella di prima. Parlare del sociale è più semplice, prendi il politico di turno, prendi la moda di turno, ci vomiti sopra e hai finito il tuo lavoro. Quando ti batti su temi che sono sempre gli stessi da tremila anni, quali l’amore, la morte, la vita, il dolore, la felicità, saranno tremila anni di filosofia, dagli antichi greci fino a Nietzsche e oltre, dio, il vuoto, filosofi contemporanei e poi la psicologia di Freud e Jung, pensi che siamo ancora lì ad impazzire sul senso di queste cose. Tutta questa follia, questo impazzire, li abbiamo messi in questo disco, nella canzone “Sto impazzendo”. È un disco di riflessioni di persone che a un certo punto, dopo aver combattuto a lungo contro i mulini a vento, si guardano dentro e combattono contro se stessi.

La sensazione che ho avuto ascoltando “Sto impazzendo” è stata quella di volersi chiudere nel privato, per essere salvati da un mondo costantemente sovraesposto sui social. È così?

“Sto impazzendo” è una canzone che può essere letta da tanti punti di vista, anch’io ne ho una lettura multipla. Sto impazzendo per un’assenza, per una persona che non c’è più, per un amore che è finito, per un’amicizia finita, piuttosto che sto impazzendo contro gli incubi della morte, gli incubi del dolore, della depressione. A volte, invece, mi viene da pensare che è il mondo che ci chiede aiuto, dice aiutami perché sto impazzendo, ma vuole dire state impazzendo voi: “le guerre, l’odio, il razzismo, la violenza, sto impazzendo, non ho più la voce, non abbiamo più la voce!” È il mondo stesso che dice non ho più la voce per dirvelo, qua sta andando tutto a finire veramente male. Sì, sicuramente la questione del web ci rientra, in quanto fenomeno sociale importantissimo, in cui è vero che ci sono un sacco di modi e di possibilità di parlare di cose positive e buone, come la pace, l’amore, l’ecologia, di cui ogni tanto si parla. Il punto, però, è che a volte mi sembra, e mi auguro sempre di sbagliare quando ho queste sensazioni, che tutto, anche le idee socialmente positive, vengano prese per delle mode, quindi è un attimo che domani tutti condividano una cosa perché si sentono in dovere di farlo, però dopo aver detto la frasina giusta sull’ecologia, magari il giorno dopo non si rendono conto che continuano a parlare di macchine, vestiti, marche e capitalismo, anche nelle loro stesse fotografie, con i vestiti di marca, con gli sponsor alle varie marche mondiali e non si rendono conto che il capitalismo e le grandi industrie sono la prima causa di tutto questo male, dell’inquinamento, dei problemi dell’ecologia. Diciamo che si creano questi controsensi dove è bene che uno parli di combattere questa roba, ma allo stesso tempo non si rende conto che poi addosso, sulla propria pelle, ha le motivazioni di tutta questa sofferenza, dello sfruttamento. E’ come dire “sono vegetariano o vegano e poi mangio tutti i giorni l’hamburger da McDonald’s”. Le persone dovrebbero cominciare a rendersene conto e da lì cominciare una vera battaglia contro il capitalismo, che è la causa di tutti gli altri problemi.

“Come la luna” è un brano che parla di dolore e violenza, ma lo fa con una profonda dolcezza. Cosa lo ha ispirato?

Inizialmente mi lascio ispirare da qualunque cosa. In un primo momento è stata un’ispirazione abbastanza estetica, c’è stata questa narrazione nata da una chiacchierata con una ragazza incontrata per caso, con una persona nella quale ho percepito questa sfiducia nei confronti della vita e dell’amore, e così ho pensato all’idea di narrare questa storia con questa tematica anche difficile da raccontare, per questo abbiamo cercato di raccontarla con il massimo tatto, perché altrimenti lo avremmo fatto tipo talk show, tutti lì ad urlare, ed è uno dei motivi per cui non siamo più quelli di prima, perché ormai ad urlare sono bravi tutti, anche noi eravamo urlatori, quando urli succedono le cose e prende sempre il sopravvento la stupidità. La stupidità, quando ha un piccolo spazio, ci si inserisce come l’acqua, e quando la stupidità fa due o tre passi, poi vince. È difficilissimo vincere contro di lei, quindi abbiamo deciso di trattare la tematica con molto tatto, con molta delicatezza, in modo tale che tutti si ritrovassero di fronte a un qualcosa che fosse narrato apposta per ragionare, e non per criticare, apposta per dire sediamoci a riflettere. Diciamo che ho immaginato questa persona che, avendo subito una violenza e la cattiveria dell’umanità, viene sconfitta nel modo peggiore, ovvero comincia ad avere sfiducia in tutti gli altri. Non credeva più all’amore, neanche a chi l’abbracciava per farla sentire protetta, “quando l’abbracciavo forte non pensavo alla morte, però lei non credeva più all’amore, non voleva un angelo custode”, perché non si fidava più di nessuno, neanche di chi cerca dolcemente di dimostrarle che non sono tutti uguali, mentre a questo mondo, purtroppo, c’è così tanta cattiveria e stupidità che viene veramente da pensare che siamo tutti così. Questa è la sconfitta più grande, non fidarsi più di nessuno al mondo. La violenza così vince due volte, perché vince su quella persona che l’ha subita e che ne soffrirà per sempre. La violenza è il primo atto di cattiveria e stupidità dell’essere umano. Nella canzone volevo dire che non siamo tutti così, perché viene da pensarlo; quando rimaniamo nel nostro silenzio, anche quando non combattiamo e stiamo zitti, viene proprio da pensare che siamo tutti uguali.

Domanda Nonsense: Qual è la cosa più buona che avete mangiato in questa trasferta napoletana?

Io sono un appassionato, è facile risponderti. Mi piace tantissimo la sfogliatella, poi in generale impazzisco per i dolci. Te ne potrei dire diecimila, ma sicuramente è la sfogliatella.

I CONCERTI

07 febbraio PESCARA // MEGA’

14 febbraio TORINO // CAP10100

15 febbraio BOLOGNA // LOCOMOTIV

21 febbraio CONVERSANO (BA) // CASA DELLE ARTI

22 febbraio NAPOLI // GALLERIA 19

28 febbraio SEGRATE (MI) // MAGNOLIA

29 febbraio ROMA // MONK

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Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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