La musica dei Massimo Volume ha a che fare con il Tempo, obbligandoci ad osservare la distanza tra quello che eravamo e l’identità che oggi ci siamo conquistati grazie al flusso di continue trasformazioni a cui ci costringe la vita. Quando durante il concerto tenutosi il 21 dicembre scorso a Zō Centro Culture Contemporanee di Catania, Emidio Clementi, rivolgendosi al pubblico per salutarlo, chiede quando sia stata la prima volta in assoluto che i Massimo Volume hanno suonato in città, la risposta non si fa attendere: almeno venti anni fa al Taxi Driver, locale di punta della scena alternativa allora nascente. Fa impressione pensare a quanto tempo sia trascorso da quando Catania e ognuna delle persone strette sotto il palco erano altro rispetto ad oggi. E’ tutta una faccenda di Tempo quando si tratta dei Massimo Volume, della scrittura di Clementi, della chitarra avvolgente di Egle Sommacal e della batteria senza sbavature di Vittoria Burattini. Forse perché la stagione di quella musica ha in sè qualcosa che appartiene ad una intera generazione, la stessa che si è rivista nello scorrere delle immagini rievocate da quelle canzoni, suonate ancora una volta.
Impressionante è il sound che si sprigiona dal vivo con un impatto di grande fisicità, coinvolgente ed impetuoso, come la chitarra di Egle Sommacal che riempie la scena dando un imprinting riconoscibile. Tutto funziona alla perfezione, compreso l’interplay con Sara Ardizzoni che dal vivo è chiamata a sostenere le trame chitarristiche a fronte della defezione di Stefano Pilia. Al centro della scena Emidio Clementi satura di versi e letteratura le stanze dei brani, declamando una poesia radicata nella terra e nell’uomo, in cui trovare allo stesso modo William Faulkner, John Cheever, Walt Whitman, Goffredo Parise e Danilo Dolci. La scaletta dei brani copre praticamente tutto l’arco temporale della carriera della band, omaggiando tanto le origini di “Stanze”, il primo album del 1993, quanto il recente “Il Nuotatore”.
Alle 23.00 il concerto inizia con tre brani estratti da “Cattive Abitudini”: Ronald, Tomas e io, Fausto e Le nostre ore contate. La parte centrale è tutta dedicata al nuovo “Il Nuotatore” con otto brani tra cui Una voce a Orlando, Amica Prudenza, Nostra Signora del Caso, Il nuotatore e Fred. La resa sonora è magnetica e il susseguirsi dei brani ha una qualità stupefacente. Se in studio l’assenza di Pilia è colmata da un lavoro supplementare di Sommacal il quale ha operato varie sovraincisioni della chitarra, dal vivo l’ottima Sara Ardizzoni, alias Dagger Moth, si è sovrapposta al sostrato armonico originale con grande rispetto, ricordando la postura della prima PJ Harvey. Da segnalare la grande intensità di Vedute dallo Spazio / Ororo estratta dall’album “Stanze”, con le sue derive post rock su cui si chiude la prima parte del concerto.
Il pubblico invoca a gran voce il rientro sul palco e la band non si fa certo pregare, liberando l’elettricità di Litio, per poi continuare con Il primo dio da “Aspettando i Barbari” e Dopo che da “Club Privè”. L’epilogo è affidato alle rasoiate di Fuoco Fatuo con il suono delle chitarre inquiete dell’album “Lungo i Bordi” in cui è cristallizzato tutto l’orizzonte della scena rock italiana dei primi anni ‘90, in cui si collocano temporalmente CSI, Marlene Kuntz e Afterhours.
Il concerto finisce e rimane nelle orecchie l’acufene di chi è stato troppo vicino alle casse, con la sensazione di essersi svegliati all’improvviso da un dolce torpore in cui, come nella sceneggiatura di un film d’amore, tutti vincono e nessuno perde. Serata davvero indimenticabile.
Giuseppe Rapisarda