È disponibile su tutte le principali piattaforme di streaming la sesta e ultima puntata del podcast “FUORI TEMPO”, di e con MICHELANGELO VOOD prodotto da Carosello Records e Dog-Ear.
L’ospite di questa puntata è AIELLO, cantautore calabrese che ha fatto della “contaminazione di generi” la sua cifra stilistica, insieme al suo timbro vocale unico e alla sua scrittura empatica e sensuale.
Michelangelo e Aiello hanno parlato di gavetta, amore, successo a 30 anni, Sanremo, paura di non farcela e sud Italia. Tutte questioni molto care a entrambi.
“Alla fine di questo viaggio incredibile ho capito che sentirsi “Fuori tempo” è uno stile di vita. Tutto sta nella prospettiva con cui ci approcciamo alle cose. Ed io oggi mi sento fortunato, perché di nuove prospettive da cui guardare al domani ne ho tante, e tutte diverse tra di loro, grazie alle storie degli ospiti che son passati di qui. La diversità è ricchezza, dovremmo ricordarcelo più spesso”.
In questo podcast Michelangelo, professore di giorno e cantautore di notte, s’interroga sul senso di precarietà e sfiducia nel futuro che attanaglia la sua generazione, e non solo. Attraverso le storie e il punto di vista dei suoi ospiti, uno per ciascuna delle 6 puntate, alla ricerca di possibili soluzioni per arginare la paura.
“Dopo la pubblicazione di Non c’è più tempo, che mette al centro della narrazione il senso di precarietà che affligge la mia generazione, mi sono reso conto che in realtà queste sensazioni erano molto più condivise di quanto pensassi. Ho capito che le persone hanno voglia di affrontare questi temi, di cui purtroppo si parla troppo poco e spesso in maniera retorica. Credo ci sia un disperato bisogno di confrontarsi per provare a immaginare delle soluzioni in grado di arginare la sfiducia nel futuro che tutti noi sentiamo, soprattutto rispetto alla direzione che sta prendendo il mondo. L’idea di Fuori Tempo nasce proprio da qui: parliamone, capiamoci e proviamo ad uscirne insieme”.
Egle Taccia ha incontrato Michelangelo Vood per parlare dell’album “Non c’è più tempo”.
Il tuo primo album si intitola “Non c’è più tempo”, cosa lo ha ispirato e come mai hai scelto di chiamarlo così?
È un disco che prova a racchiudere le sensazioni che ho provato negli ultimi due anni di vita, perché è un disco che appunto ha una vita di due anni. Il lavoro è iniziato due anni fa sebbene in verità al suo interno ci siano finite anche canzoni come quella che dà il titolo al disco, che si chiama proprio “Non c’è più tempo”, che in verità è molto più anziana e risale al 2017. Nonostante questo, quando ero lì che dovevo in qualche modo comporre il disco e scegliere quelle che sarebbero state le canzoni che ci sarebbero finite dentro, mi sono imbattuto nuovamente in queste canzoni che avevo onestamente un po’ rimosso e lasciato in una cartella del computer e, riascoltandole e soprattutto confrontandole con le altre canzoni che avevo già dato per buone per il disco, in un momento in cui stavo combattendo molto perché non riuscivo a trovare il titolo, perchè non riuscivo a capire come chiamare questo disco che era ed è importante per me, perché è il mio primo disco, alla fine ascoltando questa canzone mi si è illuminata un po’ la via, è come se avessi trovato quello che poi sarebbe stato ed è tuttora il filo conduttore delle tematiche del disco. Questa “Non c’è più tempo” da un lato è un po’ spaventosa come prospettiva, ma dall’altro racchiude perfettamente tutte le emozioni, anche se vogliamo complicate da digerire, che ho provato a metterci dentro ed ho capito, parlando e facendo ascoltare le canzoni prima che uscissero, che in realtà questo senso di fallimento, questo senso di smarrimento, di non capire da che parte andare con la propria vita, è una condizione molto più comune di quello che credevo, perché quando hai un problema, hai sempre questa presunzione di dire vabbè non te lo dico neanche tanto tu non capiresti, questo problema ce l’ho solo io, inutile che te lo dica, lascia perdere, è veramente insormontabile. In verità parlarne aiuta da un lato a risolverlo, perché già la comunicazione è parte della soluzione del problema, ma dall’altro mi rendevo conto parlandone che erano problemi comunissimi a tanti dei miei coetanei, io ho 32 anni, che come me hanno lasciato la loro casa di provincia, hanno lasciato la loro famiglia, i loro affetti, e sono andati a vivere in una città complicata, nel mio caso Milano. Credo siano problemi comuni a tutte le metropoli, dove tu veramente ti senti stritolato, nonostante sia circondato da milioni di persone in realtà poi sei sempre solo, hai sempre difficoltà a fidarti, hai difficoltà a trovare la persona di cui innamorarti e veramente è tutto più complicato, poi figurati se, come nel mio caso, vieni qua per fare il musicista, non so se mi spiego, come vedi sono nel bagno di un treno a parlare al telefono e questo rende l’idea del casino che è la mia vita continuamente.
Come dicevi, questo è un disco dove racconti i tormenti della tua generazione tra fallimento e speranza di farcela, alla fine quale dei due vince?
Dipende da come mi sveglio, dipende dal giorno. Ultimamente sono giorni molto belli che ovviamente seguono l’uscita del disco. Sai sto ricevendo molti feedback dalle persone che ascoltano la mia musica. Adesso sono in treno per andare a Roma dove faremo un po’ di ospitate nelle radio romane, sto facendo veramente quello che io mi auguro possa fare per tutta la vita sempre, in questo momento sono preso bene però non ti nascondo che ho l’umore parecchio ballerino, ci sono veramente dei giorni dove il peso dei miei errori, delle scelte sbagliate o comunque di prospettive che magari non ho mai nella mia vita considerato per via della strada che ho scelto, sono delle cicatrici che un po’ bruciano ma banalmente me ne accorgo quando ancora una volta con i miei amici, i miei coetanei, i ragazzi della mia età, mi capita spesso di pensare “lui ha la mia età e guadagna tot, ha una casa sua, ha una bella macchina”, che ovviamente sono banalità materiali, però sono tutte cose che comunque io non ho e non potrei permettermi, ma non perché sono scemo, semplicemente perché ho fatto una scelta di vita completamente e radicalmente più difficile di quelle normali e che comporta una serie di sacrifici molto evidenti, anche se, ti dico la verità, ultimamente sto facendo l’insegnante a scuola, di giorno faccio il prof. e di sera faccio il cantautore, tipo Batman, cambio identità come dico tra l’altro nella canzone “Millennium Bug” e questa cosa mi ha aiutato tantissimo a rimettere un po’ in equilibrio questi due aspetti ballerini del mio umore, questo mi aiuta a stare coi piedi per terra, a dare il giusto peso alle cose che mi succedono, soprattutto a quelle più brutte, a causa delle quali magari in altri momenti della vita, anni fa, mi sarei scervellato, sarei andato molto più in paranoia.
Come vivono i tuoi alunni il fatto di avere un insegnante musicista?
È molto buffo perché, devi sapere, che all’inizio non gli ho detto niente, perché essendo la mia primissima esperienza come docente hai anche la preoccupazione di doverti in qualche modo guadagnare il rispetto, banalmente l’ascolto attivo di questi ragazzi, che nel mio caso sono grandi, hanno 18-19 anni, quindi ho deciso di non dire niente, magari di dirlo più avanti, ma la cosa assurda è che l’hanno scoperto loro da soli, mi hanno scoperto.
E come è andata?
È andata che io cercavo un po’ di tagliare corto, faceva molto ridere perché sembrava che io quasi a volte volessi negarlo ma d’altro canto avendo fatto uscire tre canzoni prima del disco è accaduto che loro le hanno ascoltate, perché venivano intercettati dalle sponsorizzazioni di Instagram e quindi gli veniva mostrato il mio contenuto. Faceva molto ridere questa cosa e loro venivano in classe l’indomani a dirmi “prof. ho ascoltato la canzone, comunque quella frase è proprio bella!” e questo ha fatto sì che in maniera naturale si sia instaurato un dialogo e la cosa assurda è che, quando ho visto che in qualche modo a loro poteva piacere l’idea, qualche giorno prima dell’uscita del disco, ho invitato alcuni di loro, quelli che potevano venire, un sabato ad ascoltare con me in anteprima le canzoni del disco e li ho portati nello studio di registrazione dove lo abbiamo creato, e gli dicevo “quando mi vedevate correre fuori da scuola, quando ci salutavamo, è perché venivo qui fisicamente in questo posto a fare questo disco fino a notte fonda e mi dividevo tra queste due cose” e loro erano felicissimi perché oltre ad essere interessante ascoltare le canzoni in anteprima, perché c’era anche della curiosità, è stato un momento molto bello di confronto che ha rotto completamente quella barriera che normalmente c’è quando hai due ruoli così diversi, lo studente ha un ruolo e il professore ne ha un altro, e ci siamo sostanzialmente trovati a confrontarci su problemi che loro sentivano nelle canzoni, che parlavo di alcuni temi, in cui loro in parte si rivedevano, sebbene c’è una distanza di una decina d’anni, ma molti di questi temi di smarrimento, sensazione di debolezza, di impotenza, di inettitudine, loro in una maniera ancora più profonda li sentono e quando mi hanno ringraziato o comunque mi hanno fatto capire che in qualche modo stessi parlando anche di loro, mio malgrado inconsapevolmente, è stato veramente un momento super emozionante.
Quali ostacoli incontra chi vuole fare musica oggi?
Ti dico subito che secondo me c’è troppa musica oggi, e te lo dico proprio in maniera brutale, lo dico contro il mio interesse. Penso fortemente che ci sia troppa musica oggi, che ci sia troppa offerta rispetto a una domanda che spesso poi non è adeguata. Ci sono prima di tutto tutta una serie di problematiche, banalmente posso dire che per chi fa musica emergente oggi mancano proprio le opportunità per suonare dal vivo ed io, tra l’altro sono in fase di tour, sono molto orgoglioso e riconoscente di questo aspetto perché non è affatto banale. E non ne faccio una questione di chi è più bravo e di chi è meno bravo, è proprio che fisicamente non c’è la possibilità di farlo. Non ci sono gli spazi, non ci sono i posti, non ci sono le economie per sorreggere questo. Gli ostacoli che incontra oggi una persona che fa musica sono tanti, spesso sono troppi e a volte ti fanno rimpiangere tutti i sacrifici, perché hai continuamente la sensazione che stai facendo tanti sacrifici per niente, però nel mio caso ti dico che aver fatto questo disco è già un qualcosa di meraviglioso, se me lo avessi chiesto due o tre anni fa ti avrei detto che non sarebbe mai arrivato questo momento onestamente, arrivare invece ad oggi che ce l’abbiamo davanti per me è un grande momento di felicità e di soddisfazione, ma comunque per arrivare a questo ci sono tutta una serie di porte in faccia, è un lavoro talmente a contatto col giudizio degli altri che necessita di una forza interiore eccezionale, perché tu vivi continuamente sul filo di quello che piace a te e che per te è bello oppure che magari per qualcuno non lo è e come si fa a quel punto? Puoi ascoltare tutti ed essere come una bandiera al vento o essere fedele a te stesso. Secondo me non c’è alternativa, puoi essere solo fedele a te stesso ed io sono felice di averlo fatto in questo disco.
Che rapporto hai col tempo?
Sai come sono? Ti ricordi il film “Hook-Capitan Uncino”? Quello con Robin Williams che fa Peter Pan cresciuto? Praticamente c’è Capitan Uncino che nella favola ha la fobia del tempo e soprattutto degli orologi proprio fisicamente, io sono esattamente così. Se avessi una mazza da baseball spaccherei tutti gli orologi che mi circondano e di fatto non porto orologi, non perché ce l’abbia col tempo, ma perché è sempre stato un aspetto che mi ha appesantito molto, sin da quando ero piccolino, e ti dico un’altra cosa, questo non c’è più tempo visto dall’ aspetto più materiale del tempo che passa è stata anche una frase che mi sono ripetuto da solo inconsapevolmente per tanti anni, proprio riguardo questa mia strada artistica. Considera che sto facendo il mio primo disco ufficiale a 32 anni mentre, come sai meglio di me, oggi i ragazzi che riescono ad avere successo ne hanno 20 quando va bene, se non di meno, e questa cosa per tanto tempo mi ha fatto passare un po’ la voglia, però poi alla fine mi sono detto cos’è che fa la differenza? La carta d’identità o quello che tu vuoi dire e il modo in cui lo dici? Queste cose le volevo dire perché sento che non si parli abbastanza di questi temi e mi andava di farlo e di prendermi la responsabilità di farlo.
Hai deciso di dedicare il tuo percorso artistico a tua madre, scegliendo di portare il suo cognome. Che rapporto hai con lei?
Direi buono. Questa cosa del cognome fa sempre molto ridere perché o viene sbagliato il modo in cui lo scrivono, si scrive con la V di Verona e non con la W, perché magari pensano che mi sia messo questo cognome strano per fare il figo, in realtà no, lo dico sempre che semplicemente è il cognome di mia mamma, che non so perché si chiami in maniera così strana onestamente. Romanticamente si racconta che la famiglia abbia radici del Nord Europa o magari potrebbe anche essere un banalissimo errore di trascrizione nei tempi antichi di qualche antenato. Il rapporto con mia mamma è bello, nel senso che nella mia famiglia non si comunicano le emozioni in maniera diretta ed io da grande mi sono reso conto che dipende da quello che magari tutte le cose che devo dire le riesco a dire soltanto con la musica, dal fatto che non sono stato mai abituato a dei gesti troppo eclatanti di affetto verso chi si ama e però appunto la mia famiglia, mia madre, mi ha insegnato tutto quello che so, mi ha dato il dono della sensibilità, del rispetto, anche il dono dell’essenzialità, cioè di sapersi accontentare delle cose importanti e non stare sempre alla ricerca di qualcosa che poi tutto sommato neanche è importante.
Cosa dobbiamo aspettarci da un tuo live?
Dal vivo cerco di essere esattamente come sono ora con te, molto sincero, cerco di abbattere le barriere, perché alla fine nel mio piccolo, come nell’esperienza con i ragazzi più giovani a scuola, nella mia piccola, breve e umile esperienza di vita, ho capito che la verità, la sincerità e l’autenticità sono tra i valori più bistrattati nel mondo di oggi e la musica, l’arte, hanno il dovere di parlare nel profondo, di sorvolare sui recinti del cuore e dell’anima ed è quello che io nel mio piccolo, umilmente, provo a fare nei concerti dando tutto me stesso, cercando di cantare in faccia alle persone i fatti miei, sperando che qualcuno si riveda e condivida con me un’emozione.
