“I FEEL LIKE A BOMBED CATHEDRAL” è l’imponente monicker dietro al quale si cela l’ennesimo nuovo progetto del musicista francese Amaury Cambuzat, mastermind degli Ulan Bator oggi alle prese con una nuova, interessante avventura solista che prevede per quest’anno una doppia uscita, con gli album “REC.REQUIEM” e “AmOrtH”.
Abbiamo avuto modo di intervistare Cambuzat, per farci raccontare qualcosa in più su questa nuova avventura e sul concept che si cela dietro queste interessanti quanto criptiche release.
Sono passati quasi 25 anni dal tuo debutto con gli Uln Bator: in questo periodo abbiamo avuto modo di apprezzarti nel ruolo del musicista eclettico, sempre desideroso di sperimentare e giocare con la musica, rinnovando il proprio stile ad ogni nuova release. L’ultimo progetto della tua carriera discografica si chiama “I FEEL LIKE A BOMBED CATHEDRAL”, un monichker ispirato dal tuo “the cathedral studio”, in cui hai registrato il nuovo album. Puoi raccontarci come ti sia giunta l’ispiraizone per questo progetto ed il suo sound?
Negli ultimi quattro anni ho lavorato molto per Ulan Bator come per i faUSt e a lo stesso tempo ho girato parecchio da solo con la formula « plays Ulan Bator » che contiene alcuni brani scelti da me, suonati in versione interamente acustica. Ho avuto poi un grande bisogno di cambiare e di tornare da dove ero partito, ovvero ai miei primi istinti artistici.
Lungo la mia carriera, la forma canzone è stata, anche quella, una forma di sperimentazione per quanto mi riguarda. Non credo di aver mai fatto una canzoncina radiofonica negli ultimi anni.
Mi sono pure accorto che la musica che riuscivo ad ascoltare e ad amare veramente era principalmente quella classica-contemporanea insieme a molte colone sonore.
Non rinnego assolutamente certi miei ascolti passati ma non mi procurano più emozioni come prima.
In questo periodo della mia vita, credo comunque di essere più portato intuitivamente a creare o improvvisare « paesaggi sonori » che canzoni.
“I FEEL LIKE A BOMBED CATHEDERAL” è una frase che ci ha fatto ricordare il bombardamento della città di Dresda nel 1945, nel quale l’aviazione alleata distrusse l’antica cattedrale gotica, simbolo della città. Le immagini in bianco e nero che documentano quel terribile evento racchiudono un’atmosfera cupa ed angosciante, che per noi è stato facile associare alla musica contenuta nelle quattro canzoni di “REC.REQUIEM”: è questo il tipo di atmosfera ed immaginario che volevi ricreare nelle tue canzoni? Ricordiamo inoltre che tu hai di recente affermato che la scena sperimentale tedesca è una delle più interessanti nell’attuale panorama musicale, e tu hai lavorato molto con musicisti tedeschi. È forse questo un modo di rappresentare nella maniera più estrema il mood oscuro del tuo ultimo disco?
Quella frase per me è qualcosa di “multi-sense”, innanzi tutto è una metafora, una provocazione.
Ho scelto questo nome per comunicare il mio stato d’animo d’allora, di quando mi sono ritrovato a dover capire cosa volevo fare e se avessi il coraggio di cambiare strada. La forza di ricostruire sulle mie macerie.
In questo caso la cattedrale intesa come organo intimo, Ego, o ancora come psiche.
Allo stesso tempo cercavo comunque un titolo non commerciale. Lungo e fastidioso per un progetto musicale odierno. Quasi peccato pronunciarlo.
Poi c’è da dire che spesso mi indigno di fronte all’attualità, al mondo che ci circonda. Forse potrebbe essere più questa la vera scelta per il nome del mio progetto.
Per quanto riguarda le mie influenze, ho sicuramente nel mio inconscio delle influenze dalla musica moderna tedesca del dopoguerra. Quelli che mi vengono di citare sono i Popol Vuh o i Tangerine Dream nei quali ritrovo un certo misticismo e anche qualcosa di estatico nella loro musica.
Non ho avuto l’impressione di registrare un disco particolarmente cupo. Se inteso come disco « pop » allora sì, lo è proprio.
Abbiamo però trovato “REC.REQUIEM” un lavoro assai oscuro e gli stessi titoli che hai dato alle canzoni contribuiscono a questa sensazione, in quanto sono molto criptici. Ognuno di essi è composto da solo tre lettere ed abbiamo tentato di interpretarli in più modi come acronimi, frammenti di altre parole spezzate o persino sillabe mischiate che abbiamo cercato di ricombinare. Ci potresti suggerire la chiave di lettura più corretta per comprendere il concept dietro a questi titoli?
I titoli mi sono venuti in mente in pochi minuti. Per me era ovvio. Ti posso solo dire che la prima traccia era per me « definitiva », la seconda mi faceva venire in mente le fiamme di un incendio, la terza un requiem e la quarta un sogno « riverberato ».
REC.REQUIEM lo trovo un titolo maturo per un primo disco. Iniziare con la consapevolezza che è già tutto finito.
Nell’annuncio dell’uscita di “REC.REQUIEM”, abbiamo letto che il suo successore – intitolato “AmOrTh” – è quasi stato completato e che sarà pubblicato dalla label inglese Dirter Promotions. Questo disco proseguirà lo stile del primo capitolo, o avrai intenzione di seguire ancora nuove direzioni e tecniche? Ti vorremmo inoltre chiedere se tu stia già lavorando ad ulteriori release come “I FEEL LIKE A BOMBED CATHEDRAL”, visto che ci sembra tu stia vivendo un momento ricco d’ispirazione.
“AmOrtH” dovrebbe essere pronto per il 24 Maggio 2019. Uscirà sì, sempre in formato Compact-Disc, per l’etichetta inglese Dirter Promotions (quella di Nurse with Wound, Whitehouse, ecc). È stato registrato anche quello nel Gennaio di quest’anno ed è composto da due lunghe tracce strumentali. La prima dura 40 minuti e la seconda circa 16. Si tratta sempre di registrazione dal vivo in studio senza fare tagli o post produzione. Come genere, credo che la prima traccia sia a carattere più « psichedelico » di REC.REQUIEM quando invece, la seconda potrebbe avvicinarsi a un quartetto di archi, si avvicina di più alla musica contemporanea che amo molto. Tutto registrato sempre con una chitarra ed effetti analogici.
(Nda: l’album è stato poi pubblicato il 18 giugno 2019).
Nella tua carriera hai avuto molte importanti collaborazioni, con I faUSt anzitutto, ma anche con molti membri cult della scena alternative internazionale. Ciò nonostante, nei tuoi ultimi lavori – ad esempio “Amaury Cambuzat Plays Ulan Bator” – sembra quasi che oggi tu preferisca lavorare quasi completamente da solo, visto che ti occupi pressoché di ogni attività legata alla registrazione di un nuovo album. Stai lavorando meglio da solo? C’è un particolare motivo per questo?
Suono sempre con i faUSt ormai da vent’anni… Faremo di nuovo date in Europa da Luglio.
Per quanto riguarda la « mia » musica, sono anni che, per Ulan Bator, scrivevo tutto da solo e nel caso di “Abracadabra”, ho suonato e registrato pure tutto il disco senza quasi nessuno. Non è stata una vera e propria scelta, anzi, ma diciamo che gli eventi e anche una certa congiuntura musicale attuale mi hanno portato a lavorare da solo.
Nelle info relative al disco, hai voluto specificare che solo effetti puramente analogici sono stati utilizzati in questi brani registrati in presa diretta. Troviamo sia stata un’ottima scelta, perché ti ha consentito di sviluppare un sound molto forte, pesante e profondo. Come hai avuto l’idea per questa soluzione tecnica?
Ho voluto fissarmi dei limiti per non perdermi. Non volevo nulla di pre-registrato nè l’uso del computer o di campioni già pronti. Ho passato un anno a crearmi « una palette di colori » la chiamo così. Un sistema che mi permetta con la mia chitarra di comunicare al momento, tutto quello che mi attraversa la mente. È stato per me assai più complesso che imparare a guidare una macchina.
Questa necessità mi è venuta della consapevolezza che mi viene spesso bene la prima ripresa quando mi registro. Man mano che provo a rifarla, la canzone perde sempre in emozioni. Avevo quindi bisogno di crearmi un progetto che mi permettesse di registrare quei momenti che di solito perdevo oppure non venivano registrati.
Domanda NonSense: la tua musica è un atto di distruzione o un lavoro di ricostruzione in mezzo alle macerie?
La mia musica è un urlo di disperazione, una poesia verso il cosmos ed il chaos, un’umile testimonianza della condizione umana.