Abbiamo incontrato Cesare Malfatti (LA CRUS, THE DINING ROOMS, AMOR FOU) che ha da poco pubblicato un nuovo album dal titolo “Canzoni perse”, album nato dalla collaborazione con Chiara Castello alle voci e Stefano Giovannardi all’elettronica. “Canzoni perse” è un disco dove il cantautorato si fonde con l’elettronica, realizzando il perfetto mix di tradizione, ricerca musicale e innovazione.
Mi racconti com’è nato il tuo nuovo album “Canzoni Perse”?
È nato in una maniera particolare nel senso che non era molto premeditata questa nascita. Avevo un po’ di canzoni messe via ad ogni album e un paio di anni fa sono rientrato in contatto con un mio vecchio amico con cui facevo musica quando avevo vent’anni. Poi lui non ha continuato e non si è buttato nel mestiere di musicista, ma è diventato un ricercatore all’università; ha però sempre avuto la passione per la musica, ha sempre investito un po’ in strumentazione elettronica, e un paio di anni fa, per provare una collaborazione, gli ho passato queste canzoni, questi abbozzi, togliendo completamente tutto l’arrangiamento che avevo fatto a suo tempo, gli ho passato una decina di canzoni chitarra e voce e gli ho detto di provare a metterci lui l’arrangiamento. Successivamente mi sono ritornate delle canzoni con un arrangiamento molto particolare e molto diverso da quello che avevo pensato io originariamente, le ho rimesse un po’ a posto, ho pensato di dargli una presenza vocale femminile chiamando Chiara Castello, che è una musicista e cantante con cui avevo collaborato per il mio disco precedente, ed è venuto fuori questo album che si chiama “Canzoni Perse” ed è tutto cantato a due voci, la mia e quella di Chiara Castello e vede l’elettronica di Stefano Giovannardi, la persona di cui ti parlavo prima.
Ingegneria e musica elettronica. Come si fondono questi due mondi?
Avevo studiato ingegneria, ma non l’ho finita, proprio per cercare di portare avanti un mestiere e una passione da musicista, perché comunque molti synth e molti strumenti musicali vengono prodotti e pensati da ingegneri, quindi volevo un po’ tentare di fare quel lavoro lì; alla fine ingegneria era troppo difficile, mi allontanava troppo da quello che volevo fare. Quando si è giovani, appena si ha la possibilità di fare veramente musica, si lascia tutto.
L’elettronica spesso viene vista con diffidenza dai cantautori. Che tipo di apporto può invece dare al cantautorato per aiutarlo ad evolversi?
Si tratta sempre di capire che apertura mentale e di gusto un cantautore può avere. Io prima di essere cantautore ero un musicista, non cantavo e ho sempre avuto piacere e voglia di sperimentare, quindi per me è stato molto facile. Chi è un cantautore, che poi si dice cantautore per dire uno che è abituato a fare musica e parole e dare meno importanza in un certo senso all’arrangiamento, normalmente è colui che fa un disco, magari chitarra e voce, e quindi dell’arrangiamento non gliene frega niente. Ecco, quel tipo di cantautore lì ha sicuramente difficoltà a introdurre sperimentazioni elettroniche nella sua musica.
Cosa pensi della nuova scena alternativa italiana?
Ci sono tante cose belle e tante cose che invece si dicono alternative, ma alternative non sono. Mi piacciono certi progetti tipo Iosonouncane, oppure Motta, progetti in cui non c’è solamente la facilità del comporre una canzone perché possa piacere.
Domanda Nonsense: Quando sei stanco della musica in cosa cerchi rifugio?
Anche solamente passare una bella giornata leggendo o in un bel posto di campagna o al mare è un gran bel rifugio.
Intervista a cura di Egle Taccia