Il 25 aprile, in occasione del 74° anniversario della Liberazione Italiana, in piazza Garibaldi, a Parma, si terrà un grande concerto-evento organizzato dal Comune e dalla regione Emilia Romagna, in collaborazione con il Barezzi Festival. Sul palco si alterneranno Mahmood, Dimartino e i Radiodervish con Massimo Zamboni alla chitarra.
Cinzia Canali ha intervistato Giovanni Sparano, direttore artistico del Barezzi Festival.
Primo anno in cui il Barezzi Festival viene coinvolto nell’organizzazione di questo concerto; un importante e meritato riconoscimento…
Siamo molto onorati di poter contribuire ad un evento così importante e sentito in città. Dopo dodici edizioni di Barezzi sono felicissimo che questa amministrazione ci abbia premiato affidandoci questa bella responsabilità.
Sul palco di Piazza Garibaldi saliranno diversi nomi di spicco della scena musicale italiana. Lei che tipo di taglio ha voluto dare?
Per prima cosa abbiamo cercato di bloccare Mahmood per la sua data 0, non solo perché ha vinto Sanremo o perché è l’artista più seguito e ascoltato in radio e su Spotify, ma per dare un messaggio forte attraverso quei temi che dovrebbero oggi essere legati alla libertà di tutti senza alcuna distinzione di sesso, nazionalità o religione. Mi hanno colpito tantissimo le parole di Alessandro (Mahmood) che ha affermato di essersi sentito straniero solo dopo la vittoria a Sanremo…questo ci deve far riflettere su quanto sia necessario stare alla larga da tutte le cattiverie e falsità che oggi si sentono, ormai in modo quasi del tutto naturale, sulla questione “diversità”. Questo non va bene, viviamo in un clima di paura ingiustificata. Da un punto di vista artistico, ho cercato di declinare le sue due diverse anime scegliendo 2 proposte di livello assoluto: la prima, quella di Dimartino, legata al cantautorato; Antonio per me rappresenta una delle migliori penne che abbiamo in Italia, non è mai scontato né banale. Il suo ultimo disco sta avendo un meritato successo. La seconda scelta è legata ai Radiodervish che riguardano l’anima e il colore musicale di Mahmood e cioè tutta quella sonorità araba/mediterranea che abbraccia anche la nostra penisola. Nabil Salameh, frontman del gruppo è palestinese e da sempre un megafono a favore del suo popolo violentato ormai da decenni. Anche quella è lotta verso la libertà.
Crede che la musica, e l’arte in generale, possano ancora essere un’arma di lotta per la libertà?
Assolutamente sì. L’arte, in periodi bui come questo, ha il dovere di comunicare, sensibilizzare, destabilizzare le coscienze…
Perché è importante, oggi più che mai, celebrare la Resistenza?
Nel 1945, dopo il periodo più buio del ‘900, e cioè il Fascismo, ci fu la liberazione grazie al sacrificio di tantissime persone. C’era una nazione da ricostruire in tutti i sensi. In quel periodo il senso di comunità e di rinascita fu più forte dei lutti e delle catastrofi del passato: tutta una nazione si rimboccò le maniche gettando le basi per il boom economico degli anni ‘60. Oggi stiamo vivendo un periodo molto oscuro, celebrare la resistenza significa “rinascere” o meglio svegliarsi da questo incubo. La musica è un ottimo conduttore.
Parma si prepara a diventare Capitale Italiana della Cultura 2020, sta già pensando a una edizione “speciale” del Barezzi Festival?
Ci sono diverse cose in cantiere che presto sveleremo!
Intervista a cura di Cinzia Canali
