Abbiamo fatto un giro in macchina per le strade di Catania insieme ad Alessio Bondì, chiacchierando di dialetto siciliano, dell’universalità della musica, dei volti di Palermo e di Arancin*.
Intervista a cura di Egle Taccia
Come ti sei avvicinato alla musica?
In maniera inconscia e incosciente, come tutti penso. Avevo questa voglia da bambino, che non capisco e non riesco a interpretare se non come una cosa allo stesso tempo molto interiore ma molto esteriore, come il gioco dei bambini. A un certo punto ho notato quella chitarra, che stava nel salotto come soprammobile, che era di mia madre, che la suonava da ragazza. Verso i 13 anni iniziai a strimpellare e ricordo che mi piaceva tanto la musica, non era ancora l’epoca dei vari youtube, ecc. per cui avevo queste cassette che ci faceva il dj del circolo dove lavorava mio padre, che ci faceva queste cassette di contrabbando, con la musica. C’erano gli spacciatori di cassette quando ero piccolino. Ci dava questa musica, scelta da lui o con delle indicazioni sommarie dei miei genitori, che gli dicevano di mettere musica italiana o musica internazionale. Avevamo queste compilation di varius artists in cui c’erano delle cose molto varie e di dubbio gusto, a volte, però beccavi anche il Pino Daniele, Celine Dion, queste cose qui. A me piaceva moltissimo Pino Daniele, ero piccolino e mi ricordo che “A me me piace ‘o blues” era tipo un pezzone per me, che non capivo niente e subivo la musica. Ora, col senno di poi, a distanza di anni e anni, guardando appunto da una distanza tutti questi ricordi, per quello di cui ho memoria, penso che sia stato quello il momento chiave, quando ho sentito Pino Daniele nella macchina di mia madre, tra tanti, perché mia madre è patita di Renato Zero e Celine Dion. Quando ho sentito Pino Daniele c’è stata la scintilla, mi piaceva da morire.
Quali altri artisti hanno influenzato la tua musica?
Ce ne sono un miliardo. Diciamo che vanno entrando sempre nuove cose nella mia musica, infatti provo a non ascoltare musica che non mi piaccia, sono molto istintivo, perché noto che, dopo un paio di ascolti, la musica che ascolto inizia ad entrare nella mia, e quindi evito di ascoltare ciò che non mi piace, però ho un miliardo di nomi che ti potrei fare, ascolto veramente tonnellate di musica. Ultimamente, uno dei dischi che ascolto, capirai che parlare sempre di Bob Dylan, Cohen, Jaff Buckley, dopo un po’ diventa stantio, ti consiglio invece un disco che ho scoperto di recente ed è di un gruppo brasiliano, che si chiama “Apanhador Sò” e il disco si chiama “Meio que tudo é um” ed è bellissimo. In generale le mie influenze, dal Nord America al Sud America, passando per i cantautori come Bob Dylan, Cohen, ma anche Rufus Wainwright mi piace un sacco, andando nel sud Caetano Veloso, Marcelo Camelo, Elza Soares, che ha fatto un disco incredibile, sono tutte cose più recenti di cui mi appassiona di più parlare rispetto a cose più vecchiotte. Nella musica italiana, come ti dicevo, Pino Daniele, ma ci sono tante cose che mi piacciono, soprattutto la musica napoletana contemporanea, gli indipendenti di Napoli in questo momento mi elettrizzano molto, da Giglio a Gnut, per segnalarti i più fighi. Poi ce ne sono un sacco di nomi che ti potrei citare, e vengo influenzato anche dalle vicinanze, dalle persone che stanno intorno fisicamente nella mia città, come Fabrizio Cammarata e altri.
Anche se oggi ci sono i social che aiutano tantissimo, che difficoltà incontra chi vuole fare musica a livello nazionale partendo dalla Sicilia?
Diciamo che il mio progetto è abbastanza particolare da questo punto di vista. Non è che parto solo dalla Sicilia, io canto addirittura in palermitano e diciamo questo che ti chiude tante porte o comunque ti fa accedere con difficoltà in alcuni posti in cui potresti accedere tranquillamente con un altro tipo di progetto. Già se si sente parlare di un ragazzo che canta in siciliano la risposta è “non mi interessa”. A prescindere, prima ancora di sentirlo. È una cosa che ha effetto anche su di me. È un pregiudizio inculcato dalla nostra cultura italiana e dato dal fatto che molto spesso la cultura dialettale è legata alla tradizione e non è coltivata in maniera attiva e dinamica, cosa che io spero di fare, ovvero di creare un’altra tipologia di cantautore siciliano, non è che lo faccio apposta, ma mi sono reso conto che alla fine questo faccio e questo è l’effetto. Le difficoltà che incontro sono quelle di scavalcare un pregiudizio che in realtà non ci sarebbe se si ascoltasse semplicemente la musica, ma siccome per vendere un prodotto se ne deve parlare, allora diventa tutto più difficile. Magari il mio secondo disco, che sarà di prossima uscita, riceverà qualche consenso negativo, o meglio qualche dissenso, però “Sfardo” in realtà ha avuto un percorso lineare, non mi è capitato che delle persone mi dicessero che non gli piacesse, è stata abbastanza unanime come cosa, non ha raggiunto le vette che forse avrebbe potuto raggiungere, però sono contento del lavoro che ho fatto, che è molto umile e terragno.
Quando suoni fuori dalla Sicilia la gente come reagisce al siciliano? Ti chiede di tradurre i testi oppure riesce comunque a comprenderli?
Ci sono vari livelli di fruizione di un concerto, ovviamente parliamo di un concerto, quindi ci sono veramente vari livelli, c’è la musica, c’è la bellezza della composizione, c’è l’interpretazione della stessa, c’è l’interpretazione del testo, c’è la voce, c’è l’esecuzione della parte di chitarra. Io faccio in modo di coinvolgere tantissimo le persone, con dei racconti delle cose che dico, tra una canzone e l’altra, con delle spiegazioni di canzoni; è uno spettacolo studiato negli anni questo, proprio per fare entrare le persone dentro le canzoni sorvolando su quel gap linguistico che inevitabilmente c’è in presenza di una lingua che non conosci. Ascolto tanta musica che viene da fuori Italia, alcune lingue le conosco, altre le parlucchio, di altre non capisco niente, però c’è qualcosa. Quando un cantautore ha qualcosa da dire o un interprete ha qualcosa da dire, capisci, non è necessario capire il significato di tutte le parole. Se sei davanti a qualcuno che ti vuole comunicare delle cose ed evidentemente ha anche studiato il mezzo per comunicartele, quelle cose ti arrivano, o comunque ti arriva una materia bruta di emozione che è universale. Questa cosa ti arriva ed è anche fantasioso vederci delle cose tue personali. Come quando ascolti una canzone in inglese, tu pensi che stia dicendo una cosa e invece ne sta dicendo un’altra, però c’è un sentimento che ti arriva, c’è quella cosa che comunica. Poi cosa sia questa cosa che comunica sta all’interpretazione di ognuno. Anche quando si parla la stessa lingua, io ti faccio un discorso e tu capisci tutt’altro, perché il tuo background è completamente diverso dal mio. Quante liti nascono da questo, perché ognuno prova a spiegarsi e non si arriva a un risultato.
Che volto di Palermo ci racconti in quest’album?
Secondo me il vero spaccato di Palermo, che adesso nel frattempo è cambiato, è quello della Vucciria. Poi tutto il resto è una Palermo che non esiste, è una Palermo mia che mi porto dentro, che mi porto dietro, che allevo, ma effettivamente, se guardo attorno a me, non mi capita spesso, barra mai, di incontrare quella Palermo che io canto. Infatti si dice che un popolo si esprima attraverso la sua cultura popolare, facendo delle cose che non vede attorno a sé. Come gli arabi, i marocchini del deserto, i beduini, che hanno il deserto intorno a loro e invece la loro arte è fatta di ghirigori, di tantissime cose, perché vedono il nulla e, invece, quando si ritrovano un foglio bianco davanti si scatenano… il palermitano invece sul foglio bianco ci scrive suca (ride). Quindi io provo a proporre una cosa diversa, che forse non esiste ma è concreta, che può esistere, perché evidentemente può esistere una forma poetica moderna che, senza andare a rinverdire necessariamente i topoi del sole, del mare, della bella costa, della donna, del Mongibeddu, ecc. ecc. possa parlare di cose più contemporanee, che vanno a sussurrare ai cuori delle persone, perché poi di questo si tratta, di fare diventare collettiva un’esperienza individuale.
Domanda Nonsense: Arancino o Arancina?
Siamo in territorio catanese, quindi ti direi, nonostante tutto, nonostante io sia palermitano…ARANCINA!!!!!!