In occasione dell’uscita di Traum, il nuovo disco de Il Vuoto Elettrico (prodotto da Xabier Iriondo degli Afterhuors) abbiamo scambiato quattro chiacchiere con la band post-punk bergamasco-bresciana. Ne sono uscite una serie di riflessioni davvero interessanti.
DI ELEONORA MONTESANTI
Iniziamo dal vostro nome: Il Vuoto Elettrico. Che cos’è per voi il vuoto? E’ qualcosa da defibrillare con delle scosse elettriche?
Il nostro nome è un omaggio a uno dei dischi più importanti mai usciti in Italia in ambito indie rock, a nome Six Minute War Madness. Nel gruppo suonava Fabio Magistrali (produttore del nostro primo disco), Xabier Iriondo (produttore del nostro ultimo lavoro) e Paolo Cantù che abbiamo ospitato in un pezzo del primo album. Quindi diciamo che abbiamo in un certo senso pagato un debito di riconoscenza verso un mondo sonoro di cui riconosciamo la grande portata innovativa e artistica. E poi questo nome penso sia in grado di evocare il lavoro che stiamo portando avanti con tanta fatica.
Traum è il vostro secondo disco. E’ un album importante dove è evidente che state facendo un percorso, sia musicale sia umano. Cosa è cambiato rispetto al primo disco, Virale?
Abbiamo avuto un cambio di formazione (Mauro Mazzola è subentrato a Fabio Pedrotti alle chitarre) e questo è stato più che sufficiente per portare una mutazione negli equilibri del gruppo.
Inoltre il lavoro di arrangiamento studiato con Xabier ci ha messo spalle al muro in più di una circostanza. Ci siamo detti: via gli orpelli, via le sensazioni “mediate”, via tutto quello che è inutile all’economia sonora del gruppo. Ma la vera sfida è riuscire a riconoscere davvero ciò che è “inutile”, perché spesso questa cosa sfugge alla vista e alle orecchie di chi ha la mente annebbiata dal troppo coinvolgimento emotivo. Era il nostro caso.
Il titolo del disco è significativo, poiché ha una bivalenza di significato. Nella nostra lingua, infatti, Traum rimanda subito alla parola trauma. In tedesco, invece, significa sogno. C’è un legame fra trauma e sogno?
Assolutamente sì. Tieni presente che i nostri concerti iniziano con una breve introduzione che culmina con una frase declamata prima in tedesco e poi in italiano: “Il sogno è la parte migliore del nostro pensiero”. Penso che il sogno e il trauma siano due vertici di un triangolo equilatero, chiuso dalla parola “Vita”. Freud dice che il trauma più forte che tutti noi abbiamo subito è il momento preciso in cui nostra madre ci ha partorito. E’ quello l’attimo che – per intensità – rappresenta il punto di svolta dell’essere su questa terra. Sognare è dare nuova linfa al concetto di vero e di amore, tenere a distanza di sicurezza i traumi emotivi, grandi e piccoli, che capitano a ripetizione nella vita.
Uno dei pezzi più interessanti e rappresentativi di Traum è Camera di specchi. Ci raccontate la sua storia?
E’ il primo pezzo composto per TRAUM. All’inizio aveva una struttura diversa, con una parte introduttiva troppo pesante e mediata. Poi Xabier ha deciso di farci modificare il riff iniziale facendoci suonare degli accordi atonali ed ha eliminato la parte introduttiva dando maggiore immediatezza e potenza al tutto. Dal punto di vista testuale è la canzone dedicata all’età della maturità, quella dei 40 anni per intenderci. Ogni stanza è una stagione della vita del passato e del futuro. “Camera di Specchi” è il momento nel quale ci si rivolge uno degli interrogativi più importanti, quello sulla percezione dell’evoluzione del tempo.
Ogni brano del disco rappresenta la stanza di una casa. Ciò è rappresentato anche nella (bellissima) copertina, in cui la casa, però, si appoggia sull’acqua. Qual è il suo significato?
Il valore onirico del concept album di TRAUM è molto accentuato. Quella casa non è reale, è solo una sensazione. Come la vita, d’altronde. A volte c’è la sensazione di vederla dal di fuori, come uno spettatore qualsiasi. Quella casa appoggiata sulle acque, contornata da un cielo plumbeo, è minaccia e sollievo nello stesso tempo. Perché i pericoli non sono veramente tali se ci si rende conto che esistono veramente.
A proposito di stanze collegate tra loro, cosa c’è nel corridoio 41?
“Corridoio 41” è il tempo presente, ho scritto il testo quando avevo appena compiuto 41 anni. Il posto dal quale parte l’osservazione della vita nelle sue stagioni del passato e del futuro. Non è possibile sostare per più di un certo lasso di tempo in quel corridoio, bisogna subito abbandonarlo per entrare in una delle stanze della casa. E’ molto pericoloso sostare nel presente ma, in fondo, non c’è altro da fare.
Ma tenere d’occhio il passato e il futuro non è semplice esercizio di stile ma un’esigenza assoluta per comprendere tutto.
Quali sono state le ispirazioni musicali che vi hanno accompagnato durante la fase più creativa della nascita di Traum?
Siamo molto indipendenti dal punto di vista degli ascolti, sinceramente non conosco le abitudini musicali degli altri ragazzi e penso che questo non sia un male, anzi.
Seguire tutti lo stesso percorso di ascolti non è buona cosa per sviluppare un disco. Io stesso non saprei riconoscere quali sono state le influenze, davvero. Dal punto di vista dei testi le influenze sono state più cinematografiche che musicali, una su tutte la prima stagione della serie televisiva True Detective. E poi, devo dire, apprezzo molto il periodo di dominio concettuale di Roger Waters che si è concretizzato del trittico floydiano “Animals-The Wall-The Final Cut”.
Cosa rappresenta per voi il palcoscenico?
Un momento nel quale tirare fuori tutto, eliminando sovrastrutture mentali, paure, angosce, reticenze. Ci si lascia andare, si prova ad abbandonare per un attimo quello che siamo nella vita quotidiana. I suoi schemi e le sue regole. Si suona forte, d’altronde.
Traum è il secondo disco di una trilogia. Cosa dobbiamo aspettarci nel futuro? Il terzo disco è già programmato?
Dire che è già programmato mi sembra eccessivo, ma la volontà di continuare il percorso c’è. Subito dopo aver finito di registrare il disco abbiamo avuto una nuova defezione nella line-up del gruppo: da sei mesi abbiamo quindi un nuovo batterista, Luciano Finazzi, che ha un approccio “naturalmente” differente rispetto a Walter: più pesante e ritmico.
Partire da questa novità sarebbe importante, oltre che fare tesoro delle esperienze passate con un produttore come Xabier Iriondo che ha cambiato la percezione della nostra musica. Di certo se ci sarà un terzo lavoro sarà nuovamente un concept album che chiuderà la “trilogia dell’esistenza” come la chiamo io…
Se Traum avesse un colore, quale sarebbe? E perché?
Mi metti in difficoltà. Ci sto pensando ma non mi viene nulla, davvero. Sarà che sono daltonico e ho una percezione diversa del colore rispetto a chi non lo è.
Ah ok… forse ci sono. Te ne dico due: il grigio e il bianco. Grigio perché è il colore del mattone, della realtà. Bianco perché è il colore dell’abbaglio luminoso, quindi del sogno e di tutto ciò che è etereo. Ma vanno combinati insieme, mi raccomando altrimenti il gioco non funziona fino in fondo…