Malika Ayane è in tour per portare in giro il suo ultimo album Domino, nel quale ha voluto esplorare il mondo dell’elettronica. Quello che ci presenta è un vero spettacolo, visivo oltre che musicale, una festa che la vede trasformarsi insieme ai suoi brani, accesi da una nuova luce.
L’abbiamo incontrata durante la tappa catanese per scoprire qualche segreto dell’album e del tour.
Intervista di Egle Taccia
Qual è la Malika che ritroviamo dopo tre anni in “Domino”?
Bella domanda! Sicuramente è una Malika invecchiata (ride n.d.r.), cresciuta senz’altro. Dopo l’esperienza del Naif Tour, l’idea che avevo era di mettere insieme una sorta di evoluzione di quei suoni, quindi qualcosa di più urbano, ugualmente pensato per una festa immaginaria, però in questo caso molto più urbana, con suoni molto più contemporanei, cittadini, che potrebbero essere definiti scuri, ma scuro sembra sempre avere un’accezione negativa, invece no, si tratta soltanto di un discorso notturno.
Domino è un titolo dalle molte interpretazioni, qual è la tua?
Quella per cui l’ho pensato è proprio il gioco da tavolo, perché ogni volta che ci troviamo di fronte a una scelta, a partire da che reazioni avere con le persone o come prendere qualcosa che ci capita, possiamo decidere di andare da una parte o dall’altra, quindi di associare una tessera con un’altra o con un’altra ancora. Mi piaceva questa idea di poter non escludere nessuna possibilità.
Credo che il segreto dell’album sia quello di fondere l’elettronica alla tua impronta musicale, cosa ti ha portata verso questa scelta?
Proprio un’evoluzione. Se c’è una cosa chiara è che l’uso degli strumenti in un senso analogico ed acustico l’avevo già sperimentato molto e visto che, quando pensiamo alla musica elettronica, pensiamo a qualcosa di estremamente contemporaneo, ma in realtà comincia ad avere cinquant’anni anche lei, allora c’era tutto un altro mondo da andare ad esplorare e quindi è stata proprio la curiosità a spingermi, anche perché era un mondo che non conoscevo quasi per niente ed è stato molto bello lavorare con le stesse persone del disco precedente, ma in una dimensione sonora diversa.
Lo stesso lavoro lo hai fatto per il live, dove hai stravolto gli arrangiamenti di molti brani. Cosa ci dobbiamo aspettare dai concerti?
Quello che succederà nei concerti teatrali, siamo a un numero di date in cui il suono è proprio perfezionato, è di trovarsi nella dimensione del ritorno. Gli elementi di elettronica ci sono, ma sono tutti suonati dal vivo, non usiamo mai le basi perché io le odio, se no fai il karaoke, per cui ci sono una serie di sintetizzatori e di tastiere, che danno quel colore, ma che molto spesso magari sono suonati dal chitarrista usando i piedi, registrandosi, riusando degli effetti particolari, mentre altri invece li abbiamo lasciati a un modo di suonare, all’interpretazione, infatti c’è ancora un percussionista, invece di usare campioni o cose strane, abbiamo preferito usare la marimba. In certi casi, invece di usare il suono artificiale, abbiamo deciso di provare a riproporre lo stesso suono, ma utilizzando un suono acustico. Come sempre la musica è poco da chiacchierare e molto da ascoltare, però sono molto contenta del risultato. È come se avessimo fatto tutto il giro e ci ritrovassimo in qualche modo alla partenza.
Qual è il brano che ti ha messa più in crisi durante le registrazioni?
Il brano che mi ha messa più in crisi è “Non usciamo”, perché lavorando con dei produttori tedeschi e avendolo scritto insieme a Pacifico con la chitarrina, se non si ha una buona conoscenza della nostra lingua è difficile che il senso dell’ironia, del taglio e della leggerezza amara, riesca ad essere letto, quindi è stato molto complicato trovare il contesto produttivo e musicale in cui lasciare sfogo. Però ce l’abbiamo fatta alla fine e sono molto contenta.
Che tipo di lavoro hai fatto sui testi con Pacifico?
Diciamo che più passa il tempo e più il lavoro che facciamo Pacifico e io è chiacchierare e buttare giù delle idee, proprio come se fossero dei concetti da biscotto della fortuna, in qualche modo, che poi però mettiamo insieme. La cosa molto bella è che, come coautore, Pacifico non è una persona che prevarica, non era così neanche quando io ero all’inizio e lui era già Pacifico, ora più che mai è molto interessante vedere come ci sia un bilanciamento, per cui può capitare che un’intuizione arrivi dall’uno o dall’altra, ma che ci sia sempre un salire di livello durante il lavoro, mentre stiamo in cucina come due massaie ad aspettare che una canzone diventi una canzone, a cercare quella parola buona.
Domanda Nonsense: la persona più buffa che hai visto a un tuo concerto?
L’altra sera c’era un gruppo di frati meravigliosi ed erano in prima ed in seconda fila e cantavano sempre. Quando ho proposto di lasciare i telefonini per dedicarsi a cantare con me in cambio di una birretta, sono stati quelli che non hanno mollato per un secondo ed hanno cantato veramente tutto.
