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No Interview – Marco Selvaggio e il fascino dell’hang

Aether è l’ultimo disco di Marco Selvaggio, suonatore di uno degli strumenti più rari al mondo, l’hang. Il musicista ha portato il suono di questo strumento ovunque, sia in veste di solista che insieme alla sua band.

Come ti sei avvicinato all’hang?

È stato un incontro del tutto casuale. Io ho sempre detto che è serendipità! Non lo cercavo, mi è apparso davanti mentre cercavo altro. Ero per le strade di Roma circa 10 anni fa e mi son trovato davanti un suonatore di hang. Son rimasto incantato e da là è iniziata la mia sfrenata ricerca per lo strumento che ad oggi rimane rarissimo. Da quell’incontro son nati diversi EP ed album. È una costante ricerca del suono che per fortuna non si è mai fermata e che mi porta sempre a sperimentare. Lo considero un piccolo scrigno magico che mi porta in giro per il mondo a suonare in ogni dove.

Hai portato la tua arte in diversi progetti discografici tuoi e di altri artisti e alcune composizioni sono state utilizzate anche da Sky, Rai e Mediaset. Possiamo dire che è anche e soprattutto grazie a te se il suono dell’hang oggi non è più sconosciuto?

Ho avuto la fortuna di introdurre la mia musica in tantissimi progetti musicali. Ho viaggiato moltissimo grazie alla mia musica e in questi viaggi ho davvero conosciuto moltissimi artisti validissimi con i quali ho avuto la fortuna di collaborare. Ho registrato l’hang per diversi progetti discografici. Ho avuto la fortuna ed il piacere di suonare dal vivo per svariati artisti nazionali ed internazionali. Nel mio piccolo ho contribuito a far conoscere questo fantastico strumento grazie alla mia musica.

Hai suonato in tutto il mondo e nei luoghi più disparati. Immagino sia difficile rispondermi, ma c’è un posto in particolare da cui sei andato via “arricchito”?

Ho suonato in tantissimi posti diversi. Conservo di ogni concerto un bellissimo ricordo e posso dire che ogni posto mi ha lasciato qualcosa che mi porto dietro. Ho suonato un po’ in tutta Europa, in Australia, nel Vietnam del nord, in Libano, Giappone e da ultimo in Argentina e Uruguay. I concerti che ricordo con più “affetto” se così vogliamo dire son quelli fatti in posti molto particolari ed immerso nella natura o in luoghi molto suggestivi che si sposano alla perfezione con la mia musica. Le terme achilliane di Catania sotto la cattedrale al Duomo. Il concerto in occasione del Salina Doc Fest in un anfiteatro sul mare.  Un teatro in Argentina in un locale molto particolare chiamato Hasta Trilce. Su un grattacielo ad Hanoi in Vietnam al tramonto. Di ogni posto ricordo la gente, i colori, l’atmosfera che si respirava e il rapporto con il pubblico durante il concerto e dopo. Tutto questo continua a farmi fare musica.

In “Aether”, la tua ultima fatica discografica, è evidente la maturità stilistica a cui sei giunto. Quanto ti ritieni meticoloso?

Aether è un album molto particolare. È una musica difficilmente definibile o etichettabile. È un disco fatto col cuore insieme al team della T-Lab Revolution, una casa discografica nuova di cui fanno parte Massimo Lombardo, Luca Davino il quale ha collaborato registrando le chitarre (da ascoltare il suo progetto U.O.M.O.), Giuseppe Calvo il quale ha registrato le tastiere e Toni Carbone, fonico e sound engineer nonché direttore artistico del disco, il quale ha registrato il basso. Il disco l’ho presentato al teatro dello ZO a Catania in occasione del World Festival Raizes in una data tutta mia. La meticolosità la si ravvisa di certo nell’album. C’è una cura maniacale ai dettagli. Sono stati usati 7 hang per registrare il tutto. La fase di arrangiamento dei brani è durata circa un mese a brano. Il concerto è stato molto fedele al disco. Son stato felicissimo di aver avuto il teatro pieno. Sold out. Nonostante io non viva più in Sicilia il pubblico non si è mai allontanato da me dimostrando sempre un grande affetto ed una bellissima stima artistica.

Hai già in programma nuovi progetti?

Adesso si promuove Aether suonando in giro. Sono appena rientrato da un tour di 7 date in Sud America, in Argentina. Non mi fermo mai con le composizioni ma non sto pensando a progetti discografici. Penso che per un nuovo album passerà come minimo un anno o due. Non c’è fretta. Ci saranno di certo molte collaborazioni e moltissimi live.

Domanda Nonsense: l’ultimo paesaggio che ti ha lasciato senza fiato?

La terra del fuoco, Ushuaia chiamata anche “la fin del mundo”. La Patagonia è incredibilmente suggestiva. Mi sono portato l’hang in spalla durante un’escursione al parco nazionale di Ushuaia e mi son seduto a suonare immerso nella natura, direzione Cile con i venti dell’Antartide che soffiavano. È stato incredibile sapere di essere davvero ai confini del mondo e potermi sedere senza nessuno davanti a suonare.

Intervista a cura di Cinzia Canali

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Cinzia Canali nasce a Forlì nel 1984. Dopo gli studi, si appresta a svolgere qualunque tipo di lavoro, ama scrivere e ha la casa invasa dai libri. La musica è la sua passione più grande. Gira da sempre l'Italia per seguire più live possibili, la definisce la miglior cura contro qualsiasi problema.

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