Abbiamo incontrato Roy Paci in uno dei suoi instore di presentazione del nuovo album “VALELAPENA“, lavoro in cui è ancora una volta affiancato dai suoi Aretuska. “VALELAPENA” è un album di svolta nel percorso dell’artista, che lo vede affrontare un percorso più introspettivo e dai suoni rinnovati, ricco di importanti collaborazioni e impreziosito dalla produzione di un grandissimo personaggio della scena internazionale.
Intervista a cura di Egle Taccia
Per cosa “Valelapena” lottare oggi?
Vale la pena lottare innanzitutto per i propri ideali, per gli obiettivi da raggiungere, ma ne vale la pena quando hai la consapevolezza assoluta che in quello che vuoi raggiungere ci stai mettendo passione, ci stai mettendo tutto il sacrificio di questo mondo, pur di lavorarci su… nel mio caso è stato studiare la musica. Devi essere certo che stai, con uno spirito di abnegazione assoluta, veramente dedicandoti a quella roba lì. Quindi alla fine vale la pena provarci perché, se lo fai con tutti questi elementi a puntino, probabilmente alla fine potrà accadere che avrai un risultato, sicuramente ce lo avrai un risultato, a prescindere dal fatto che questo risultato ti dia le risposte che stai aspettando o meno. Da qualche parte arrivi. Non è necessario, come nel caso della musica, che questo risultato abbia necessariamente un ritorno gigantesco, perché poi c’è chi si mortifica, ma se hai la consapevolezza che quella roba che hai raggiunto ha un qualcosa da dire, hai lavorato con un “VALELAPENA” di non poco conto.
Un album per l’artista rappresenta sempre la fine di un ciclo. Che periodo si chiude per te, che percorso ci racconta?
Questo album racconta una parte di vita che si allontana dall’ultimo album di ben sette anni e in sette anni possono accadere tante cose. Ho avuto la crisi del settimo anno, da solo, e mi sono reso conto che in sette anni tante cose sono successe, che tanti cambiamenti avvengono anche a livello personale, per una questione di maturità e di evoluzione. Dall’ultimo album sono cambiate tante cose ed ho cominciato a fare un percorso all’inverso, alla ricerca della verità che avevo dentro, che probabilmente ho bisogno di scoprire a fondo, scendendo nella profondità dell’io. Senza inoltrarmi in discorsi filosofici, quello che ho fatto è proprio un lavoro personale implosivo, visto che sono stato sempre una persona esplosiva, un lavoro che mi permettesse di raggiungere il nucleo centrale da dove parte tutto il mio modo di ragionare, di vedere, la mia creatività stessa. Ho messo in discussione, in questo momento storico, anche quello che avevo fatto in precedenza. Mi sono approcciato a questo disco insieme ai miei fraterni amici musicisti della band, in un lavoro collettivo, vedendo prima di tutto i miei sbagli, i miei errori e superando tutta una serie di problematiche, che ci sono state in questi anni. Mi ha aiutato ad apprezzare di più quello che stavo realizzando nella mia vita, perché tutti abbiamo dei problemi, tutti abbiamo delle cose che ci possono capitare, tutti perdiamo persone, perdiamo pezzi importanti della nostra famiglia, della nostra vita. E’ la vita! Probabilmente un percorso del genere non fa altro che smussare un po’ le paure e le fobie che ognuno si porta dentro, da quella atavica della morte, a quelle più futili come la paura di non riuscire nella vita. Non ci si può ficcare in un tunnel del genere, bisogna guardare la luce oltre il tunnel subito, perché anche se finirai in un’isola deserta a mangiare cocco, tu stai vivendo e lo stai facendo con la massima felicità. Adesso devo dire che, dopo questo lavoro intrapreso nel disco, probabilmente di pari passo ho compiuto anche un lavoro terapeutico per me e per tutto il collettivo, un lavoro che ci ha portato a dei risultati importanti per noi, ci ha soddisfatti e automaticamente spero che soddisfi il pubblico che ci ascolta.
Oggi la musica suonata è un po’ messa da parte dall’elettronica. Tu che sei un grande musicista, da sempre accompagnato da altri grandi musicisti, come vivi questo cambiamento?
Vivo questo cambiamento senza odiare quello che sta accadendo intorno, anzi, se ci riesco, nelle cose mi ficco dentro e da buon situazionista e post neoista quale sono, ci gioco e sfrutto il sistema stesso di quello che sta accadendo. Con la musica elettronica non ho alcun problema, l’importante è che chi la fa, quando parla con me, parla con una conoscenza musicale adatta per poter discutere di musica. Se chi si approccia alla musica elettronica non ha idea di quello di cui si parla, quando gli spiego che sta viaggiando a 8 bar o che in questo momento sarebbe meglio mettere un accordo con la settima diminuita piuttosto che una tredicesima e lui si perde davanti a me, capisco che in quel momento non sto parlando con un artista o con un musicista, ma sto probabilmente parlando con una macchina che è stata completamente manipolata da un computer. Fino a quando riusciamo a tenerla sotto controllo, non è un problema. L’abbiamo fatto anche noi, dosandola con parsimonia in un lavoro meticoloso e certosino nell’album. Non la consideriamo il demonio, anzi è una cosa che ci può interessare. Siamo nel 2017, non ai tempi di Luigi Russolo con gli intonarumori! È importante captare ciò che accade nel mondo. Ormai la globalizzazione dei suoni è importante, perché finalmente (questa è una cosa che profetizzavo da tempo) non ti rivolgi più a un mercato locale. Quando fai musica in questo momento ti devi rivolgere a un mercato mondiale. Questo è quello che ancora non hanno capito molti musicisti in Italia.
Ci parli delle collaborazioni dell’album?
Sono tante, ma i featuring sono solo tre. Coloro che hanno cantato nei pezzi e che ho piacevolmente ospitato sono Deuce Eclipse dei Bang Data, presente in “Destino Sudamerica”, che è un simpaticissimo musicista e cantante di un gruppo, appunto i Bang Data, che si muovono nell’area di Los Angeles, e che ho scoperto shazamando un bel po’ di anni fa, dopo aver visto un paio di puntate di Breaking Bad, serie tv che conoscerete tutti, e ho detto “guarda che figo questo gruppo cumbia col rappato sopra!”, gli ho mandato una mail e lui mi ha risposto che mi conosceva, è impazzito per questa cosa e ha subito accettato. La stessa cosa mi è accaduta con Dub FX che è un australiano di origini italiane che ho incontrato, ho suonato con lui dal vivo, è nata una grande amicizia e una stima reciproca. Gli ho chiesto di fare questo pezzo molto forte, molto duro, che è “Ipocrita”, un pezzo dove io mi sfogo parecchio con le parole piuttosto che sfogarmi in maniera sbagliata con le mani. È uno sfogo importante con le parole, perchè tanto un ipocrita nella vita ce l’abbiamo tutti. Poi l’ultimo featuring è quello con Ivan Nicolas, che è un bravissimo songwriter irlandese con il quale ho condiviso delle cose belle attraverso una persona importante che abbiamo in comune, Dani Castelar, che è il produttore del mio album, nonché produttore anche di Ivan e produttore di molte altre cose, che ha partecipato a produzioni importanti come quelle di Paolo Nutini, quella di Michael Jackson, dei Block Party, dei REM. È un produttore con il quale ho lavorato bene, da cui ho imparato tanto, soprattutto in questo disco è stato quel quid in più che ha fatto sì che il disco si completasse nella forma e nella maniera che poteva soddisfare tutti noi. Il suo apporto è stato fondamentale! Mi sono rivolto a lui perché non trovavo in Italia corrispettivi produttori, non lo sto mettendo su un piano superiore o inferiore, non lo trovavo perché in Italia ci siamo solo noi che facciamo questa mescla di suoni e ho trovato in lui la persona adatta per lavorare con una testa capace di pensare in maniera inglese, vivere il mondo latino, perché è valenziano, ma lavora da 15 anni tra Londra e Dublino ed ha anche un respiro ad ampio raggio. Ne è venuta fuori una roba anche diversa dalla discografia passata degli Aretuska. È stato un tentativo, devo dire ben riuscito, di portare il suono della mia family su un piano più internazionale.
Domanda Nonsense: La cosa più strana che ti è capitata in tour?
Quante cose strane sono successe! Mi sta venendo in mente una cosa accaduta 25 anni fa quando ero in tour con i Mau Mau, non riuscivo a suonare una tromba, ho detto “ma cosa ho?”! Pensavo di avere un blocco alla gola, il suono era tappato, stavo per impazzire, non capivo. A volte capita che nella custodia delle trombe, finiscano dentro le pezzuole per asciugare, i coperchietti delle creme per oliare, ma non trovavo nulla di tutto questo, stavo davvero per impazzire… alla fine era entrata una lucertola e si era incastrata dentro! Ci trovavamo in una campagna a suonare sotto gli alberi e si era “azziccata” nella campana della tromba. Abbiamo dovuto prendere una pistola ad aria compressa, che l’ha fatta uscire alla velocità della luce. Mi dispiace che non ne sia uscita viva, ma si era incastrata nel cannello della tromba. Credo sia stata la cosa più allucinante che mi sia capitata nella vita. Poi ci sono state altre cose assurde, tipo che ai concerti, mentre stavamo suonando, due si sono messi a trombare sul palco, oppure un tizio è arrivato da me e mi ha messo un serpente addosso dicendomi “guarda che bello mio figlio”. Ne capitano di tante, però la cosa divertente è proprio quella, perché in tour, in fondo, succedono cose che altrove non vedresti, perché girando il mondo vedi tante cose belle e questa è sicuramente la cosa più bella della vita da musicista.