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NO INTERVIEW- TUTTE LE COSE INUTILI

Oggi il duo toscano di Tutte Le Cose Inutli si è raccontato a noi di NonsenseMag, parlandoci del loro passato e del loro imminente futuro che li proietta verso un nuovo disco. Il gruppo si è autocostruito al meglio sui social media e ha sempre dialogato con i fan in modo schietto e diretto.

Leonardo Sanzo e Francesco Meucci hanno il loro cantautorato punk che in questo 2017 potrà sorprendere molti: venite a scoprirli.

 

Un duo che si dedica ad un cantautorato punk non è cosa da tutti i giorni: com’è nato il vostro progetto? Venivate da altre esperienze?

Veniamo entrambi da altre band in cui Meo suonava la batteria e io la chitarra. Non avevo mai “cantato” prima, nemmeno pensato di farlo. Ma poi arrivò un momento pessimo, il tipico momento in cui tocchi il fondo e puoi solo risalire. E io dal fondo ho raccolto tutto lo schifo, tutte le cose belle e quelle inutili e sono risalito in superficie, con questo bisogno tremendo di mettermi in gioco, a nudo. Meo è arrivato qualche mese dopo, c’erano già le prime canzoni e una data fissata a Genova: ci sono state un paio di prove e così è cominciata la nostra storia insieme, già dall’inizio in viaggio verso qualcosa di indefinito.

 

Soffermiamoci un attimo sul modo di definire il vostro genere, cosa significa cantautorato punk? Quanto sono stati importanti i vostri modelli nella costruzione di Tutte Le Cose Inutili ?

Il termine Cantautorato Punk ci è sembrato da subito il migliore per descrivere la nostra immediatezza, la nostra genuinità, come se al punk ci togli le creste e ci metti le parole. Il punk è l’attitudine, il non importa avere i mezzi, i soldi, i contatti, io se voglio lo faccio. E in qualche modo l’abbiamo sempre fatto. TLCI è un mondo totalmente spontaneo che viveva in me silenzioso già da tempo, fino a quando non mi sono guardato dentro e l’ho visto. Sicuramente dentro c’è un po’ di Fiumani, di Clementi, senza saperlo mi hanno accompagnato e mi hanno insegnato a vedere più a fondo, dietro le apparenze, nella forza che hanno parole di tutti i giorni.

 

Avete fatto una vera gavetta social, anzi in Italia forse siete uno dei primi gruppi che si è autocostruito sui nuovi media: c’è qualcosa che vi è mancato?

Sappiamo quanto sia importante adesso questa faccia della medaglia, non abbiamo fatto niente di particolare, se non mostrarci senza filtri, per quello che siamo ogni giorno, prendendo la mano di chi ce la tendeva, rispondendo ai messaggi, ringraziando per i regali e le lettere, per tutte queste piccole cose che fino a poco tempo fa erano per noi impensabili. Le stiamo vivendo con la meraviglia del bambino che scopre le cose per la prima volta. Vogliamo condividere tutto con chi vuole ascoltarci, le soddisfazioni, ma senza nascondere un concerto con due persone davanti, io credo che le persone la percepiscano questa semplicità.

 

Una delle forme più ricorrenti della poetica del gruppo è il reading, perché? Lo scorso anno Stelle Comete è stato un vero salto di qualità, continuerete con questo mash-up tra musica e letteratura?

La scrittura è nata parallelamente e forse prima della musica, infatti insieme ai dischi abbiamo scritto e stampato anche due libri (Preghiere Underground nel 2013 e Luce e notte fonda nel 2016), dai quali abbiamo estratto Bombe Carta e Stelle Comete, e le altre letture che proponiamo in live. Ci siamo resi conto che è un qualcosa che ci caratterizza, che ci distingue e che ci piace, quindi continueremo a farlo. Infatti anche nel disco nuovo ci sarà un nuovo reading musicato, un inno di speranza che dice che se vogliamo avremo tutti le nostre vite meravigliose che abbiamo sempre sognato.

 

Avete un rapporto fantastico con i vostri fan, come vi siete costruiti un buonissimo seguito pur non avendo nessuno alle spalle?

Questo rapporto è nato semplicemente come nasce un’amicizia, valorizzando ogni persona, rendendo speciale ogni rapporto, premiando questo affetto incondizionato, e rendendolo trasparente e diretto. Io non sono più di loro, anzi senza di loro io questo sogno non potrei nemmeno viverlo, e quindi li ringrazio ogni giorno, gli mando dei provini, se mi chiedono come è nata una canzone glielo racconto. In generale provo ad ascoltare sempre, e mi chiedo come sarebbe stato importante e bello se avessi ricevuto questo trattamento qualche anno fa da chi vedevo come modello e da ispirazione.

 

Avete aperto tanti grandi nomi della musica indipendente italiana. Vi sentite accolti da quest’ambiente? Quale dei gruppi vi ha più colpito ed è stato d’aiuto nell’approccio al vostro lavoro?

Per le band emergenti le aperture sono la vita, sono la possibilità di confrontarsi con artisti affermati, un pubblico importante, dei palchi veri e delle tempistiche a cui non siamo abituati. Ci sentiamo accolti perchè c’è una rete, un interesse vero, ho in mente le facce di Tommaso Paradiso, Giovanni Truppi, Mattia Barro, Lucio Corsi lì in prima fila ad ascoltarti, e poi darti i consigli. Parlandoci svanisce tutta quell’aria di mistero e di magia, e restano persone, con i tuoi stessi sogni e gli stessi tuoi problemi, che seppur a livelli diversi condividono come te questa avventura dell’oggi siamo qui e domani chissà. Siamo felici e spaventati, felici e inutili.

 

 

 

 

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