Che fossimo di fronte a qualcosa di eccentrico, interessante, curioso lo si era già capito dinanzi al singolo di debutto, “Il Paradiso su Retequattro”, e con Divadelica, il loro primo disco. I Diva hanno solo confermato questa particolarità. L’album, uscito per INRI a maggio, vanta personalità e un gusto retrò pur mantenendo un legame con il pop italiano e il sound internazionale d’oggi.
Davide Golin, autore e frontman del gruppo, ha risposto a qualche nostra domanda.
Prima di tutto, chi sono i DIVA?
Diva siamo: Davide Golin voce e synth e Andrea Novello alle chitarre, più amici e ospiti che ci hanno aiutato nella realizzazione del nostro primo disco “Divadelica”. In più l’apporto fondamentale del mio produttore artistico Ivan A. Rossi. Per quanto riguarda i live c’è la new entry Simona Zamboli alle basi e alle sequenze.
Siamo nati come tribute band delle grandi cantanti della musica leggera italiana, dalla Bertè alla Rettore a Patty Pravo, ma ben presto abbiamo deciso che scrivere e suonare pezzi nostri era molto più divertente.
“Il Paradiso su Retequattro” è il titolo del vostro primo singolo. Raccontateci qualcosa in più di questo brano cult della scena indie di qualche anno fa.
Sono un grande fan dei programmi notturni del sabato su Retequattro, dove vengono trasmessi vecchi programmi musicali dei canali Fininvest dei primi anni Ottanta come Azzurro, Festivalbar e altri varietà dell’epoca. Programmi tutti lustrini e pailettes, colori fluo, cotonature dei capelli a strati come torte nuziali, applausi esageratamente finti, e tuttavia sorrisi del pubblico veri e sinceri in modo disarmante di fronte a tanta opulenza e di fronte allo show business. Insomma un’atmosfera irreale, che – complice l’ora notturna – mi dava l’idea consolatoria di stare in un rifugio al sicuro, in un ritrovato paradiso catodico. Da qui è nata l’idea del titolo. Poi questa idea l’ho contaminata nel testo con altre situazioni e personaggi di ieri e oggi, mantenendo questo filo rosso tra gli anni Ottanta e i nostri giorni. Un filo che non si vuole spezzare e non sarò certo io a farlo.
“Divadelica” strizza l’occhio al pop, alla dance e all’elettronica italiana e internazionale. Da che background provenite?
Come background mi piace molto il synth pop anni Ottanta, l’italo-disco, la musica dance certamente ballabile, ma con un retrogusto malinconico. Altro grande amore di sempre la musica leggera italiana, le canzoni scritte da nomi come Fossati, Lavezzi, Monti, Pace e Avogadro per interpreti di lusso come Patty Pravo, Loredana Bertè, Rettore, Mina e compagnia cantante… E poi il pop e la nu disco di oggi di gruppi come Of Montreal e Lcd Soundsystem e di etichette come Dark Entries, Slow Motion, che propongono una musica dance di imprinting anni Ottanta ma con i piedi ben saldi nelle sonorità e nell’attitudine di oggi.
Un disco da ballare così come da ascoltare con musiche e testi che si uniscono in un perfetto equilibrio, cosa non affatto scontata. Era un obiettivo stabilito in partenza?
Grazie molte, era esattamente quello che volevamo raggiungere. Non è facile incastrare le parole italiane nei ritmi dance, con la nostra lingua è molto più facile affabulare e quindi relegare la musica a un ruolo secondario. Penso alla fine ci siamo riusciti .
Negli ultimi tempi si parla spesso di scena musicale indipendente: c’è chi sostiene non esista più, chi pensa che stia finalmente avendo i giusti riconoscimenti e chi ne discute totalmente a vanvera. Qual è il vostro punto di vista?
La scena dei nuovi nomi italiani è certo indipendente perchè non è un prodotto delle tradizionali major. È indie in quanto alle modalità con cui è emersa, dal basso, con il supporto dei social media, con etichette e un network di forze (booking, uffici stampa) appunto di estrazione indipendente. Il contenuto invece non lo trovo indie: l’indie è nato con il punk, nell’accezione originale significava anche una musica con codici, stili e attitudine che andava controcorrente rispetto al mainstream, alla maggioranza. Ed era per forza di cose un prodotto di nicchia. Dopo vent’anni di crisi il bacino della discografia indie si è prosciugato e per sopravvivere è confluito nel mainstream. Oggi gli indie italiani di successo fanno buona, ottima musica leggera aggiornata ai nostri tempi e alle nuove generazioni, a cavallo tra i passaggi radio, le ospitate in Rai e il Primavera Festival. Non c’è lo spirito “alternativo”, l’angst o la cazzimma che dir si voglia dei gruppi indie storici, inglesi o americani. Ma quei tempi non esistono più e non ha neanche senso rincorrerli o rimpiangerli. E comunque io ho sempre cercato di fare proprio una musica che avesse un piede nel mainstream e uno nell’alternative. Quindi ora potrebbe essere il mio momento. Che dici?
Domanda Nonsense: Cosa trovate meravigliosamente kitsch?
In questi tempi cinici magari il kitsch si può anche scorgere qua e là, ma certo niente di meraviglioso al riguardo.
Intervista a cura di Cinzia Canali