Gli Hope You’re Fine Blondie sono un trio rock trevigiano (Paolo, Luca, Nicola) che unisce, nella musica, violenza e poesia, essenzialità e potenza. Quasi è il loro nuovo album e ha un titolo che sembra partire da una posizione neutra, ma che in realtà è sinonimo di forte consapevolezza. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con loro, scoprendo che la bellezza si alimenta solo con altra bellezza.
di Alessio Ciccolo
Sono passati quattro anni dal primo album, passato per l’EP pubblicato nel 2014:che percorso hanno intrapreso gli HYFB prima di partorire Quasi?
Un valido percorso di autoanalisi, anche reciproco tra di noi, un periodo di due anni incentrato soprattutto sul voler e dover “suonare”, carichi di entusiasmo e ottimismo per ciò che c’avrebbe aspettato dopo l’uscita del disco, ma anche, a volte, frustrazione con una conseguente successione di “tempi morti” per il dover aspettare Nicola, diversamente impegnato in altri traguardi per la sua vita personale.
Come definireste il rapporto con Davide Dall’Acqua e in che modo il suo lavoro influenza la vostra produzione?
Un lavoro eccellente, non a caso ci siamo messi nelle sue mani per questa “trilogia”. Oltre ad essere un amico, è una persona preparata e brillante nel saper e dover scegliere quasi sempre la soluzione perfetta che dia il miglior risultato finale.
E’ da dire, che nonostante l’ottimo lavoro svolto in questo ultimo disco, nel primo, omonimo uscito nel 2011, ha potuto essere libero da qualsiasi vincolo o gusto personale, sapeva fin dall’inizio cosa avremmo voluto e c’ha accontentati senza troppe domande, senza doversi scontrare con tre teste distinte e invadentemente presenti nella totale lavorazione di questo ultimo album.
L’album si apre con un trio di brani a dir poco travolgenti, tra cui la title-track Quasi: cosa si nasconde dietro le tracce del disco?
Nulla di particolare, volevamo solo far capire e dare un’idea immediata di ciò che avrebbe dovuto aspettarsi il nostro ascoltatore, volevamo solo fare una scaletta equilibrata, senza dover tralasciare nulla che valesse la pena valorizzare.
Un disco che invita a meditare sulla condizione in cui l’uomo sembra essere scaduto. Come difendersi da questo diventare quasi-uomini?
Penso che sia molto difficile oggi avere una soluzione per questo. Tutto questo “quasi”, sempre più dilagante, è dovuto paradossalmente alla possibilità/volontà populista di dire sempre e comunque la propria, senza mai risparmiarsi, a vanvera, a volte esprimendo anche giudizi sommari a casaccio, a volte anche a discapito del prossimo, pervasi poi da un arrivismo spietato e dall’assurda convinzione, maturata dai mass media e social network, di poter fare e dire le cose sempre e comunque meglio degli altri, senza nessuna reale autoanalisi, senza nessun determinato sacrificio, senza nessuna sostanza, senza nessun contenuto, basta che “diventi famoso”, basta che “lo sappiano tutti”.
Concludendo e rispondendo realmente alla domanda, cosa farei?
Ebbene, me ne starei in silenzio, quasi quasi al buio (cit), caricandomi di indifferenza, apatia e apparente sordità nel sopportare questo brusio colmo di falsi intenti e falsi eroi sempre pronti a pontificare per il proprio interesse e senza riguardo nel pestare le scarpe a chiunque…però subito torno in me, e penso che farei ciò che loro stessi si aspetterebbero da me, quindi torno a scrivere musica, magari trovando il pretesto giusto per cantare al mondo il nostro amore per la vita e per tutto ciò che essa dona, a volte inaspettatamente.
L’invito a una rigenerazione si coagula nel grunge-ballad Nel Grembo, che ha il sapore del rock nostrano dei primi anni ’90 e che chiude questo viaggio tra le trame del regresso umano. Quali appuntamenti attendono adesso gli HYFB?
Speriamo di suonare un bel po’, con la volontà di “portare fuori” questo bellissimo disco, di farlo sentire a più persone possibili, perché solo nel vivere con entusiasmo le cose belle si può incrementare la bellezza nel mondo.