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No New – “Hai mai mangiato un uomo?”: iBerlino sono tornati

Hai mai mangiato un uomo?, si intitola proprio così il nuovo album, prodotto da La Bionda Records, de iBerlino, duo formato da Mirko Difrancescantonio e Fabio Pulcini. Dopo “negli anni luce” e “Follie d’Autunno”, questa volta  un disco che parla di smarrimento, confessione e ritrovamento dell’uomo.

In che contesto ha preso vita questo disco?

Nella nostra cucina, come al solito. Io e Fab siamo coinquilini, la nostra casa è una sala prove e in genere componiamo mentre stiamo per tirar giù due spaghi o facendo qualche chiacchiera. Volevamo qualcosa di sporco. Stavamo registrando un altro disco, sempre elettronico ma composto da canzoni con la struttura classica: strofa/ritornello/strofa/ritornello/bridge. Credo siano belle canzoni che spero di chiudere insieme a Fab e questi altri ragazzi, Lorenzo e Angelo come seguito di questo disco. Solo che a un certo punto io e Fab ci siamo detti: “Sono anni che vogliamo fare qualcosa di…qualcosa di…” Quel qualcosa si chiama “Hai mai mangiato un uomo?”

Come mai la scelta di registrare in presa diretta?

Noi funzioniamo dal vivo. Dal vivo ci lasciamo andare. E poi è anche il concept dell’album: un braistorming da vagabondo notturno. Come sarebbe fare del pop in presa diretta? Ecco, credo sfocerebbe nel rock. Come approccio di registrazione secondo me la differenza tra pop e rock è che nel primo registri con un rigido paletto nel culo, nel secondo te lo sei appena tirato fuori e stai ancora strillando. Ricordo che una sera io e Fab eravamo in macchina e mentre guidavo c’era una fitta nebbia; stavamo ascoltando “Skeletron Tree” di Nick Cave e la nebbia non poteva che aumentare la suggestione atemporale; ci siamo detti: “Che disco”, senti quasi l’aria della stanza in cui viene suonato, la polvere e soprattutto senti Cave che si lascia andare al dolore e ai pensieri. Poco tempo prima avevo messo su un vecchio vinile di mio zio, niente poco meno che “Harvest” di Neil Young. Cosa hanno in comune questi due dischi? Che alcune canzoni sembrano veramente sincere, da “buona la prima”, come il primo Ray Charles. Hanno una dimensione da calore dal vivo. Hai presente l’ultimo e iperpulito Ray Charles e il primo? Ecco, il primo era da presa diretta: ogni registrazione della stessa canzone sarebbe uscita con un’intenzione diversa probabilmente. Almeno, questa è l’impressione che ho sentendolo cantare.

E poi, non volevamo niente di plastica e nulla da “balotta”, come dicono qui a Bologna. Non siamo tipi da scrivere la colonna sonora di un Ferragosto. Ricordo che, subito dopo aver finito le 8 ore di sessioni di registrazione di questo disco, Susanna, la vocalist che sentite in alcuni brani, mi portò ad un concerto di una allora quasi conosciuta ma non televisiva Levante, quella stessa sera. “Be’, vediamo com’è sta tipa”, mi dissi all’epoca. Immaginate che sono arrivato stordito da questi suoni notturni che abbiamo registrato poche ore prima e mi sono trovato di fronte un pubblico che alzava le mani a ogni ritornello e in quel momento ho pensato: “Non c’entriamo un cazzo con questo mondo”.

Diversi brani vantano il featuring con la cantante Susanna Regazzi. Com’è nata questa collaborazione?

Io e Susanna ci siamo conosciuti in un laboratorio di teatro. L’unico che ho fatto. Sapevo che cantava e che insegnava canto. Ci siamo risentiti dopo un po’ di tempo e le ho chiesto di darmi qualche lezione per insegnarmi a capire la voce, la mia voce. Io iniziai a cantare per rabbia in un momento di solitudine; quando ho incontrato Fab ho iniziato a farlo in pubblico. C’erano però delle cose che non capivo di questa arte, la mia era impulsività esattamente come la mia rabbia: sapevo da dove veniva ma non come usarla. Man mano che Susanna mi dava lezioni le facevo ascoltare qualcosa su cui stavamo lavorando. Mi disse che questa roba le piaceva. Poi mi è sempre piaciuta la sua testa, le piace sperimentare. Così, il pomeriggio che andammo a registrare le dissi: “Hey, Su, passa in tardo pomeriggio, fai un salto. Magari dai una bella cantatina qua e là, come ti senti.” Quando la sentimmo cantare su “Non si può vietare in un deserto”capimmo che il disco era praticamente chiuso. Avevamo ottenuto quello che volevamo. Qualcosa che una registrazione a tracce cronologicamente separate non ci poteva dare: il momento, lo sporco sincero momento.

Ascoltando l’intera tracklist è facile creare associazioni visive. Parole e immagini hanno viaggiato sullo stesso binario durante la composizione dei pezzi o si tratta semplicemente di una casualità?

Nello stesso binario, anzi, direi nella stessa tangenziale: la musica è stata le ruote dell’auto e al volante c’era la mente; la questione è che la mente in questa auto si è fatta guidare dalle ruote e ogni tanto dava qualche colpo di sterzo, come un “vediamo dove mi porti”. Fab suonava, io chiudevo gli occhi e caricavo su ricordi, come fossero autostoppisti nella nebbia.

Voglio essere la centesima persona che ve lo chiede: perché iBerlino?

Perché dopo 100 persone che ce lo chiedono ormai ci sentiamo iBerlino.

Domanda Nonsense: se poteste usufruire di una macchina del tempo…?

Gli direi di non farmi incazzare e di riportarmi subito al presente. Però magari una piccola capatina ad esempio nel 1986 la farei, per vedere qualche concertino.

Intervista a cura di Cinzia Canali

Written By

Cinzia Canali nasce a Forlì nel 1984. Dopo gli studi, si appresta a svolgere qualunque tipo di lavoro, ama scrivere e ha la casa invasa dai libri. La musica è la sua passione più grande. Gira da sempre l'Italia per seguire più live possibili, la definisce la miglior cura contro qualsiasi problema.

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