La band perugina, dopo l’omonimo EP del 2015, torna sulle scene con il debut album Niente di Speciale: nove tracce, inquiete e melodiche, attraverso le quali gli Elephant Brain sviluppano testi diretti ed essenziali. Se ancora non li conoscete non perdetevi questa intervista, buona lettura!
Iniziamo dalle presentazioni: chi sono gli Elephant Brain?
Allora partiamo dal principio proprio. Gli Elephant Brain sono cinque, fanno rock e scrivono in italiano: Vincenzo (voce/chitarra), Andrea (chitarra), Emilio (chitarra), Giacomo (batteria) Roberto (basso). Tutti classe ‘92 (o giù di lì, Rob ’93), hanno iniziato a suonare insieme ormai quasi dieci anni fa, nel tempo hanno costruito uno studio di registrazione di fianco alla sala prove dove registrano la loro roba (l’EP e una prima parte di “Niente di speciale”) e hanno deciso di dare il nome di Elephant Brain al loro progetto perché rispecchiava un po’ quello che cercavano di comunicare con la loro musica.
Cosa c’è dentro a “Niente di speciale”, il vostro album d’esordio?
Per noi c’è dentro davvero un sacco di roba. In pratica c’è la nostra vita di questi ultimi 3 anni. La nostra idea era che questo disco fosse una finestra, non solo nel senso “guardate qua come sappiamo parlare di voi e della realtà che vi circonda”, ma nel senso di cercare di condividere quello che era stato per noi scrivere nel concreto questi pezzi in un momento della nostra vita molto complicato tra lavori, studi che finiscono, case e città che cambiano, cose così. Alla fine ci è sembrato naturale raccontare di quanto fare musica, in realtà, a volte, in mezzo a tutte queste ansie sia proprio difficile, una cosa che ti toglie il sonno, in senso letterale e non. Può sembrare che abbiamo scritto un disco “tristone”, e a tratti è innegabile che sia così, però abbiamo chiaro che dentro ogni canzone ci sia dell’altro e ci auguriamo che sia così anche per chi si trova ad ascoltarle. Perché nonostante tutto si può ancora riuscire a dedicare del tempo a qualcosa che per noi conta davvero, qualcosa che dia un senso non solo di sopravvivenza alle nostre giornate, per noi è la musica ad esempio, ma potrebbe essere davvero qualunque cosa. Ogni canzone ha avuto il suo iter di scrittura e la sua storia. Generalmente partivano dall’idea di uno che poi veniva rivista insieme; venivano aggiunte, quasi sempre tolte o abolite parti, tenendo sempre d’occhio l’evolversi della linea vocale a cui abbiamo dato la precedenza assoluta su tutto il resto. È capitato che stessimo una settimana su una frase che non ci suonava. Basta pensare che “Scappare sempre” in due anni è stata cambiata almeno quindici volte, ha avuto una decina di strofe e ritornelli diversi e ce li ricordiamo tutti. Potrebbe essere un’idea per il prossimo disco, dieci stesse canzoni con linee diverse. Essendo cinque teste che ragionano, si scontrano per tirar fuori qualcosa che alla fine convinca tutti, ovviamente dentro ci finiscono anche gli ascolti personali di ognuno, che, come si può immaginare, possono anche arrivare ad essere diametralmente opposti.
Ho letto che “Niente di speciale” per voi è un lavoro lontanissimo dall’attuale scena italiana: in cosa vi distinguete?
Domanda pericolosissima. Dov’è che l’avete letta questa? No, a parte tutto, anche lì, a livello artistico, abbiamo lavorato molto sul costruire una nostra identità, cercando di discostarci da tutto il resto. Chiaramente è un processo che forse non finirà mai. Che le chitarre poi, per come le intendiamo noi almeno, vadano per la maggiore, questo è abbastanza evidente. Sì, in questo dobbiamo dire che ci sentiamo (insieme ad altri gruppi ovviamente) un po’ dei pirati della scena.
Riallacciandomi alla domanda precedente, mi piacerebbe sapere cosa vi piace e chi apprezzate all’interno dell’attuale panorama musicale italiano.
Ultimamente in giro c’è tanta bella musica. Si torna a vedere band che suonano dal vivo, anche molto bene, che alzano gli ampli senza paura delle ordinanze pubbliche. Per darti qualche nome, I Botanici, gli Endrigo, Cara Calma, Gomma, tutti cari amici, tra l’altro. Poi va be’, se ci spostiamo sulle band più blasonate ti stiliamo un elenco lunghissimo. In generale comunque, dove cominciano a crearsi dei legami a livello artistico è sempre una cosa molto positiva, ci si aiuta a vicenda, si fa comunità, insomma alla fine si cresce tutti.
Domanda Nonsense: com’è il cervello di un elefante? Perché lo avete scelto come nome?
Non ne abbiamo la più pallida idea e non credo che nessuno ne abbia mai visto uno. Nemmeno su YouTube abbiamo trovato niente, incredibile! No, in realtà forse meglio, sarebbe stato un po’ macabro. Nella nostra idea, rappresentava un po’ quello che volevamo comunicare con la nostra musica. La presa di coscienza che questo periodo storico, per quanto grigio e pesante, non ci impedisce di impegnarci in un progetto che vuole guardare lontano, andare avanti con fiducia. Quando vicino alla musica ogni membro della band poi affianca un percorso di lavorativo e di studi, i tempi si dilatano tantissimo, spesso diventa estremamente pesante e il simbolo dell’elefante ci faceva anche un po’ esorcizzare questo mito che le molte strade diverse non possano alla fine conciliarsi. Se ci metti anche la ricerca di un suono “grosso”, pieno di chitarre e una batteria che pesta duro… poi, dai, l’elefante si ricorda praticamente tutto, è un animale incredibile.
W gli elefanti, sempre.
A cura di Laura De Angelis