La avevamo già incontrata due anni fa per parlare dell’Ep “Schianto”, questa volta la ritroviamo in occasione del nuovo disco, Prima che gli assassini. L’artista in questione è Sarah Stride, cantautrice italiana, attiva sulla scena indipendente con album, performance, happening e piece teatrali, ricerca, pubblicazioni e laboratori nel campo dell’arte-terapia in ambito psichiatrico e con all’attivo diverse collaborazioni sia dal vivo sia in studio con artisti italiani e internazionali.
Un’artista che non ha paura di esporsi, di rischiare, di essere.
Un disco che non scende a compromessi, che non ha paura di prendere posizione. Verrebbe da definirlo coraggioso, ma probabilmente il termine più corretto è necessario. È così?
Ti ringrazio molto per questi aggettivi. Sicuramente questo disco rappresenta ciò che per noi era “necessario” comunicare. In generale reputo necessarie tutte le cose che mantengono intatta la loro autenticità, che riescono a difendersi, per quanto possibile, dalle logiche di mercato e dalle influenze delle aspettative. In questo senso, abbiamo lavorato a questo disco in modo assolutamente libero in totale aderenza alla nostra sensibilità e senso estetico. Al di là del risultato che ovviamente può essere giudicato in modo molto soggettivo, credo sia questa l’unica via per produrre dei contenuti che possano diventare necessari anche per gli altri.
Dai brani si evince quanto il valore delle parole sia per te fondamentale, che tipo di lavoro c’è stato dietro?
Questa è stata la prima volta in cui, durante la stesura di un album sono partita dai testi anzi, “siamo” partite, perché sempre per la prima volta ho lavorato a quattro mani alla scrittura delle liriche insieme a Simona Angioni. A proposito di necessità, dietro al lavoro cesellato su ogni parola, la priorità di questi testi è stata quella di portare in luce ciò che in noi premeva con urgenza e dunque che fosse assolutamente necessario. In questo senso è stato un lavoro molto faticoso, uno scendere in profondità senza sconti con la volontà di portare fuori quello che si nascondeva lì sotto con la maggiore chiarezza ed accessibilità possibili. Sono abituata ad una dimensione molto intima della scrittura e l’esperienza del lavoro a due ha permesso a questi testi un respiro che potesse essere maggiormente condivisibile.
Se attraversi l’inferno e li guardi sono solo pensieri spaventati… ma quanta ricerca e quanta determinazione occorrono per imparare a non aver timore di quei pensieri assassini e per incanalare, invece, la paura in un’altra direzione?
Ahhh decisamente un “lavoro” che peraltro non finisce mai! Proprio poco fa parlavo con amici della differenza tra disciplina e controllo e tra desiderio e intento. Sono termini molto spesso assimilabili ai quali diamo lo stesso significato mentre esiste una grandissima differenza tra di loro.
Viviamo in una società dove tutto è dominato dal desiderio, il quale immancabilmente porta a sentirsi inadeguati, insoddisfatti, pieni di paure, sempre spostati in qualcosa che sarà e dunque mai nel presente e se non siamo nel presente non siamo nemmeno in noi. Da qui il controllo, sterile, feroce, per non cadere a pezzi. La disciplina e l’intento invece sono frutto dell’essere vigili e del godere della propria presenza qui ed ora, dell’accettazione delle proprie fragilità e debolezze. Questo per me è l’unico modo in cui cerco, e a volte riesco, a trasformare “i pensieri assassini” in alleati.
Nella tracklist è presente anche “La Torre”, bellissima cover di Battiato. Cosa ti lega a questo brano?
Sono follemente innamorata di tutta la produzione di Battiato. Questo brano mi ha convinta da subito sicuramente per la sua contemporaneità e per il fatto che non fosse così conosciuto. Poi, in un disco per me molto denso, carico di significati, poter cantare che alla fine “si salverà chi ha non ha voglia di far niente e non sa fare niente” è stata una grande liberazione!!
Camminare in mezzo alla gente, osservarla, è per te fonte d’ispirazione?
Da piccola e ogni tanto anche adesso, facevo sempre questo gioco. Guardavo le luci accese delle case e mi immaginavo le persone che le abitavano, la vita che ne scorreva all’interno. Oppure in treno, guardavo le scarpe dei passeggeri e mi immaginavo il loro viso, la loro età. Questo è il mio grande difetto, tendo ad immaginare le cose più che a vederle, poi però ci sono le piccole cose, un anziano che porta la spesa, una farfalla sul marciapiede… che ti colpiscono come uno schiaffo. Queste sono le cose che per me vale sempre la pena raccontare.
Sei in tour in questo periodo, che feedback stai ricevendo dal pubblico?
Mi ci è voluto parecchio per allinearmi a questo disco, come se fosse stata una parte di me, molto più avanti di me a scriverlo. Ora mi sento completamente abitata da questo lavoro e la maggior soddisfazione è portarlo live dove sempre di più sento il pubblico anch’esso allineato, come stessimo partecipando non ad un semplice concerto ma ad un’esperienza comune, dove qualcosa di invisibile ci attraversa e ci si trasforma vicendevolmente.
Domanda Nonsense: la miglior cura contro la disattenzione?
Imparare a respirare bene, stare in silenzio cinque minuti al giorno ad ascoltare il proprio corpo e lasciare che l’incessante chiacchiericcio nella nostra testa si manifesti in modo chiaro, così da poterlo lasciare andare.
Intervista a cura di Cinzia canali