Un’esplosione di amarezza, di perplessità, di rabbia verso una società che non la rappresenta più. 8 tracce nelle quali durezza e ironia si tengono per mano senza alcun timore. Se nascevo femmina è il nuovo album, uscito per Goodfellas / Lapidarie Incisioni, della cantautrice romana Ilaria Viola.
“Se nascevo femmina” è, in un certo senso, un disco di rottura rispetto al precedente. A cosa è dovuto questo cambiamento?
Il cambiamento riguarda ciò che ero e ciò che volevo diventare. Lo studio era diventato una sorta di scudo dietro il quale mi celavo. Il manierismo tecnico era diventato una coperta di Linus. La ricerca del bello mi impediva di comunicare il disagio reale che provo nei confronti della nostra società che ci opprime e ci costringe in stereotipi che ormai mi stanno stretti. Ho scelto il mio linguaggio delle origini per farmi esplodere e comunicare come davvero mi percepisco come individuo sociale.
In questi nuovi brani hai scelto di esporti, di parlare della rabbia verso una società capace solo di classificare, marchiare, etichettare. Non tutti, però, hanno il coraggio di denunciare ciò che trovano ingiusto; spesso si preferisce stare dalla parte del “pensa solo a cantare”. Qual è la tua opinione al riguardo?
Il mercato dei talent ha portato il ruolo del cantautore alla morte. Prodotti preconfezionati da bancone di supermercato hanno soppiantato completamente chi aveva qualcosa da dire e decideva di dirlo con la musica. Per fortuna ultimamente qualcosa si sta evolvendo e la figura del cantautore sta tornando alla ribalta.
Quanta consapevolezza pensi ci sia, oggi, nei confronti della lesione sempre più profonda, imposta dalla società, alla libertà d’essere?
Assolutamente zero spaccato. È proprio questo che mi terrorizza ancor più della lesione della libertà: la totale inconsapevolezza. Questo succede su scala mondiale, io la chiamo la globalizzazione intellettuale. Poi posso parlare solo per il mio di governo e mi pare evidente che la politica demagogica del nostro attuale ministro degli esteri stia arrecando danni sensibili alla consapevolezza del cittadino medio. Questo tra l’altro attraverso una desensibilizzazione culturale al limite del totalitarismo. Basti pensare che il loro motto è: “ignoranti fieri di esserlo”. Mi viene da vomitare.
“Se nascevo femmina” vede agli arrangiamenti Giacomo Ancillotto e alla produzione artistica Lucio Leoni. Quanto ti hanno aiutata nel portare a termine il progetto nelle vesti che desideravi?
Quando Lucio mi ha messo vicino a Giacomo pensavo avesse perso il senno. Invece Lancillotto ha contribuito a esaltare la mia follia. Lucio in seguito l’ha poi mitigata e ha reso il nostro lavoro più fruibile. Giacomo mi ha dato la mano verso mondi sonori ignoti. Lucio ci ha riportati sulla terra.
Il 1° luglio hai suonato sul palco di ‘Na cosetta a Roma, sono in programma altre date?
Il tour partirà a ottobre, prima verso il nord Italia. Non vedo l’ora.
Quale augurio fai a te stessa per il futuro prossimo?
Vorrei riuscire a seminare il germe dello spirito critico nella mente della mia generazione e di quelle a me vicine.
Domanda Nonsense: la scena di un film che riguarderesti all’infinito?
Il monologo del teschio di Leonardo di Caprio su Django di Quentin Tarantino, quello in cui si rompe una mano per davvero ma continua a recitare. Nonostante quello non sia uno dei miei film preferiti trovo in quella scena la competenza, la dedizione, il sentimento, la rabbia, la forza e il coraggio che la rendono unica nel suo genere.
Intervista a cura di Cinzia Canali