Settings è il secondo lavoro dei Pin Cushion Queen. Tre ep, da tre brani ciascuno, pubblicati nell’arco di diversi mesi. Settings_1 è uscito ad aprile, Settings_2 a settembre e il terzo uscirà prossimamente. Una raccolta di sfondi, ambientazioni e scenografie, elementi dei quali ogni narrazione non può fare a meno.
Ho fatto loro qualche domanda.
Come nasce la decisione di dividere “Settings” in tre EP?
La gestazione è stata piuttosto lunga e poco ordinata. Quando abbiamo iniziato a registrare all’inizio del 2015, avevamo sette brani pronti anche se, nel frattempo, continuavamo a lavorare su altri pezzi. L’idea di dividere tutto il materiale accumulato in tre Ep ci ha permesso di pubblicare i primi tre pezzi mentre finivamo di scrivere e registrarne altri due (uno di questi è Merry-go-round, il primo di Settings_2). In questo modo, un altro vantaggio stava nel dilatare le uscite di brani che in molti hanno definito “difficili”: è un modo per non mettere troppa carne al fuoco. E a poco a poco così abbiamo sondato il terreno.
In questa trilogia è la musica ad aver ispirato i testi; in generale nascono sempre in questo modo i vostri brani?
Per noi, il senso, per quanto indicibile, è già all’ interno della musica che suoniamo, perciò i nostri testi sono concepiti come un corredo per indirizzare le suggestioni musicali in modo di poco più preciso. Questo non vuol dire che non ci mettiamo attenzione, anzi. A volte è capitato che fosse molto più complicato scrivere un testo che rispondesse nel modo migliore a questa funzione, piuttosto che la musica in sé. E potrebbe anche succedere che il testo di una canzone sia migliore, qualunque cosa significhi, rispetto alla sua controparte musicale. Ma questo, come è ovvio, è al di là del nostro controllo o delle nostre intenzioni.
“Settings_2”, rispetto al primo EP, risulta molto più cupo…
Parlando di Settings_1, diverse recensioni puntavano sul carattere molto cupo del lavoro. Dici che il secondo capitolo lo è ancora di più? Forse, la malinconia di Cracks in The Ice stempera l’inquietudine di Mechanical Liars, mentre l’angoscia di Under Electric Light probabilmente porta a una sensazione più scura avvertita nell’ascolto dell’intero Settings_2. Una cosa è certa: il terzo sarà meno introverso. O così almeno ci dicono quelli che hanno potuto già ascoltarlo.
Nonostante le scene lontane tra loro, ci sono elementi sonori comuni, come la “dilatazione” e la “ripetizione”, che collegano tutto il lavoro. Vi va di spiegarceli meglio?
Già durante le registrazioni di Characters sentivamo il bisogno di allargare le possibilità rispetto a quelle del classico trio rock. Ma eravamo, e siamo, in tre e la coppia basso-batteria ci sembrava ancora irrinunciabile. Quindi, è stato spontaneo cominciare a scrivere partendo da loop: all’inizio erano strati di chitarra, su cui poi creare incastri e strutture diverse, perché in questo modo aumentava il numero di strumenti che suonavano contemporaneamente. Molta musica elettronica nasce sulla base dello stesso principio, in effetti, e a portarlo in un ambito rock in modo sistematico c’erano i Battles, sicuramente uno dei gruppi che preferiamo. A monte c’è l’adorazione nei confronti di artisti come Can, che possiamo definire padri dell’elettronica. Tutto questo significava avere più punti di riferimento dai quali partire per usare questo modo del tutto nuovo per noi e, lavorando così, non è difficile che la ripetizione ti porti alla dilatazione, alla trama ipnotica. Pezzi come Background e Merry-go-round nascono da un loop e un tema cantato: su queste cellule improvvisiamo, aprendo tutte le porte che ci capita di intuire, fino a quando il brano non cammina da solo.
Come mai il nome “Pin Cushion Queen”?
È il titolo di una filastrocca di Tim Burton ma non c’è un motivo preciso o un ragionamento dietro alla scelta del nome: più semplicemente, quelle tre parole in fila “suonavano” molto bene, per noi. Detto questo, però, da una parte l’associazione della nostra musica con il lavoro di Tim Burton ci sembrava interessante per la moltiplicazione di senso che la cosa implica. Dall’altra il fatto di trovarsi in mano un libro non così conosciuto come “The melancholy death of oyster boy”, non era un caso: amiamo profondamente molte opere di Burton e, in quegli anni (parliamo del 2007), ci sentivamo vicini artisticamente alla malinconia, all’inquietudine e alla sua voglia di riderne, che sono tra gli elementi della sua poesia.
Parlateci del vostro background musicale.
Nonostante abbiamo età diverse (due di noi hanno passato da un po’ i trenta, mentre Nicola ha solo 22 anni) abbiamo tutti iniziato a suonare strimpellando il rock alternativo degli anni novanta, dai gruppi più pop, come Nirvana e Smashing Pumpkins, al noise dei Sonic Youth o il post-punk di Fugazi e Jesus Lizard. Ma la lista potrebbe essere molto più lunga. Ogni tanto ci capita ancora di suonare qualche cover dei Soundgarden, per esempio, quando vogliamo staccare. Poi gradualmente abbiamo completamente cambiato ascolti e adesso passiamo dalla musica classica all’elettronica senza particolari preferenze di genere: da Amon Tobin di Isam al Ravel della Rapsodia Spagnola, dai Liars di Wixiw ai This Heat.