Tieni accesa la luce è l’album di debutto delle Ginger Bender, duo formato da Alessandra Toma e Jeanne Hadley. La loro musica è ricca di influenze e stili diversi e questo si avverte chiaramente anche in questo primo lavoro discografico, prodotto da Paolo Mei per Rocketta Records.
In “Tieni accesa la luce” troviamo sonorità afro, ma anche blues e funky; la vostra passione per l’arte di strada e per i viaggi quanto influisce sul vostro sound?
Beh, sicuramente qualsiasi tipo di esperienza nella vita influisce sulla tua persona in toto, quindi anche il sound ed il nostro modo di concepire la musica hanno risentito di questi stimoli.
La maggior parte dei viaggi che abbiamo fatto insieme sono stati viaggi musicali, in cui si visitava il paese per andare a suonare e quindi ci è capitato di conoscere tanti musicisti locali: dai gitani che suonavano flamenco in Spagna, ai musicisti greci di Rebetiko, ai jazzisti finlandesi con cui ci siamo trovate a fare un tour proprio in Finlandia. Suonare in strada, suonare tanto ovunque e in diversissime occasioni e diversi contesti culturali e sociali, ci ha arricchito musicalmente, ma soprattutto ci ha permesso di migliorare molto la nostra performance live che è diventata e diventa ogni giorno di più sempre più coinvolgente per il pubblico.
Com’è iniziato il vostro percorso musicale?
Partendo dai nostri percorsi personali: tutte e due abbiamo iniziato a suonare la chitarra classica da bambine poi ognuna di noi ha parallelamente iniziato ad esplorare altri generi, come il blues, il rock, il reggae, il funk e il jazz. Entrambe abbiamo anche studiato percussioni.
Ma proprio grazie al jazz ci siamo conosciute: frequentavamo entrambe la Scuola Civica di Jazz e da lì è partito tutto. Abbiamo deciso di mettere su un duo ed esibirci a Milano ovunque: dai localini, ai ristoranti, ai pub, per strada e, grazie a questa passione, siamo riuscite anche a viaggiare suonando fuori dall’Italia.
Inizialmente suonavamo soprattutto quello che stavamo studiando, cioè standard jazz, vecchi blues, pezzi swing e manouche. Dopo qualche anno abbiamo sentito la voglia di provare a scrivere brani inediti, finalmente i tempi sono maturati e siamo riuscite a realizzare un album del quale siamo contente e soddisfatte del risultato.
Nei testi affrontate diversi argomenti ma, al centro, c’è sicuramente l’amore, soprattutto quello disfunzionale…
Sì, più che l’amore e basta, ci interessano le relazioni. Per questo abbiamo scelto di raccontare delle relazioni, in questo caso di coppia, d’amore, che però contengono molto altro. In “Otello” il protagonista è un uomo convinto di amare la propria partner; convinto che sia il suo amore per lei a spingerlo ad ucciderla. Ci premeva descrivere l’incapacità di alcune persone ad amare, che nasce probabilmente da una assenza di educazione emotiva e l’abitudine a non indagare e sviscerare le proprie emozioni. In questo sono vittime anche loro.
In “Blue Petit”, prende la parola una stalker che non riesce a sentirsi integra senza la persona per la quale è ossessionata.
In “Five”, la mettiamo sul ridere e minacciamo “se vuoi sopravvivere, amami”.
Un altro tema forte è la disuguaglianza e come, spesso a nostra insaputa, siamo tutti condizionati da pregiudizi e retaggi culturali. Abbiamo infatti deciso di aprire il disco con il singolo “Cumbia Nera”, che parla di tutto questo.
A chi bisogna fare un applauso per l’artwork di copertina?
Il disegno lo ha realizzato un illustratore di Brescia che si chiama Biro. Avevamo un’idea per la copertina e volevamo commissionare il disegno ad un professionista. Quando Paolo Mei (Rocketta Booking & Records) ci ha proposto Biro, siamo andate a cercare i suoi lavori e ci sono piaciuti moltissimo. Volevamo rappresentare una creatura fatta da più entità, a simboleggiare la fusione di più generi. I due visi ricordano vagamente i nostri, e in questo potrebbe essere vista come un’incarnazione del duo. Quando abbiamo contattato Biro, abbiamo cercato di spiegargli cosa avevamo in mente – non è stato semplice ma alla fine è riuscito a rendere benissimo la nostra idea.
Il palco sembra davvero la vostra casa, come vivete la dimensione live?
Il live è la dimensione in cui ci troviamo meglio. Non abbiamo ancora tanta esperienza in studio, mentre di “gavetta” ne abbiamo fatta davvero tanta. Confrontarsi con il pubblico è una delle cose più belle che si possa fare in quanto musicista. Ti mette alla prova, non solo come musicista, ma anche come intrattenitore e improvvisatore. Il palco ti dà la possibilità di scherzare, di giocare coinvolgendo il pubblico e spesso succedono cose meravigliose.
Domanda Nonsense: cosa vi faceva paura da bambine?
Alessandra: Beh, un sacco di cose, dalla classica paura del buio, oppure qualche scena o personaggio di film che magari mi aveva turbato; ad esempio “Elephant man” di David Linch: la sua immagine mi aveva talmente turbato che ero terrorizzata da lui, nonostante poverino, fosse un personaggio tenerissimo e buono, che aveva avuto la sfortuna di nascere malformato!
Oppure i canti gregoriani mi hanno fatto paura per anni e anche adesso a dire il vero mi inquietano un po’. A circa 8 anni avevo insistito terribilmente coi miei genitori per portarmi al museo delle torture, non curandomi totalmente degli avvertimenti: “non è molto adatto per bambini sai?”
Beh, entriamo: buio, eravamo i soli in questo museo, con statue di boia giganti, i quadri raffiguranti di torture assurde, scale scricchiolanti e canti gregoriani di sottofondo. Beh, non ho più potuto ascoltare questi cori. Certe cose ti segnano. 🙂
Jeanne: Sì, il buio sicuramente. Più che altro perché mi immaginavo i mostri che mi capitava di vedere in qualche film. Mi ricordo anche che mia sorella maggiore mi faceva sempre degli scherzi in cui faceva finta di essere morta per poi risuscitare come zombie – mi faceva morire di paura! Mi prendeva in giro perché avevo paura degli alieni nel film comico “Mars Attacks” e riproduceva i versi che facevano per spaventarmi. Mi ricordo che quando guardavo i film di paura, era la musica di suspence che mi spaventava – se mi tappavo le orecchie potevo anche vedere i mostri e le scene spaventose, ma insieme all’audio mi terrorizzavano!
Intervista a cura di Cinzia Canali
