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No Report

No Report – Il Pan del Diavolo avvelena la Latteria Molloy

Vi ricordate nel mondiale 2006 la sensazione che avete provato quando Trezeguet ha sbagliato ai rigori? Come eravate colmi di ansia e come poi siete esplosi in urla estasiate cariche di gioia?
Ecco. Questo è ciò che ho provato l’8 aprile al concerto de Il Pan del Diavolo. Ogni volta che finiva una canzone mi caricavo d’attesa e poi esplodevo. Solo che davanti a me non ho visto un pallone prendere una traversa; ho visto due figure diaboliche segnare più e più volte. E ho goduto molto di più.

E’ stata una serata all’insegna dei duetti. Ad aprire sono infatti i Maranuda, duo bresciano che ha presentato il primo EP Zero. Con Simone Pedrini alla chitarra e voce e Massimiliano Berardi alla batteria si ha comunque la percezione che non ci siano mancanze sul palco; la voce calda e avvolgente di Simone accompagna perfettamente melodie descrittive capaci di sconvolgere. Ci si sente destabilizzati da pezzi come Una terra  e, immediatamente, cullati carezzevolmente da canzoni come Se l’inverno arriverà. Il concerto dei Maranuda è uno spazio metafisico rigidamente confusionale, e siamo tutti confusi quando si chiude il concerto e si inizia ad aspettare l’entrata in scena del Pan del Diavolo.

Reduci dall’apertura del concerto dei Litfiba al Palalottomatica (Piero Pelù ha  collaborato alla produzione di Supereroi, il loro ultimo album), Gianluca Bartolo e Pietro Alessandro Alosi salgono sul palco e non si smentiscono aprendo con Blu Laguna, pietra miliare del loro repertorio. E’ un inizio feroce che nella sua semplicità dice solo “questo è ciò che vi aspetta per la prossima ora e mezza”, ma come dice lo stesso Alosi, Brescia è sempre stata calorosa e non si è mai tirata indietro. Ed è vinto da questa sicurezza che il duo presenta il nuovo album Supereroi, prodotto della maturazione della band e anche di importanti collaborazioni come quella con Vincenzo VasiUmberto Maria Giardini, Tre Allegri Ragazzi Morti e il già nominato Pelù.

 

E’ entusiasmante notare come nel corso degli anni l’essenzialità degli strumenti non abbia mai limitato la natura del Pan del Diavolo, anzi, è un punto di forza. Si rimane increduli di fronte alla capacità che hanno di creare atmosfere sempre diverse, piene, che non lasciano vuoti. La scaletta è ricca di pezzi ripresi da tutti i loro album così che siano chiare a tutti le loro origini e ciò che di queste origini è rimasto. E’ così che, oltre a canzoni nuove come Sempre in fuga  e Tornare da te,  ripropongono pezzi storici come Scimmia urlatore  e Coltiverò l’ortica, che invitano a saltare e a frantumare le corde vocali. Con L’amore che porti  e Africa, ballate più morbide e comunque taglienti, è concessa la possibilità di riprendere fiato e arrivare sconvolti all’energica conclusione di questo concerto attraverso Pertanto  e Gravità zero. E’ stato tutto così veloce, caratterizzato da una forza madre che ha trascinato in quell’universo profondo che il Pan del Diavolo è da sempre. Una realtà in cui immergersi e farsi ribattezzare alla vita quasi più consci dei propri poteri, quasi riscoprendosi Supereroi. Una realtà in cui non dovete mancare di sprofondare almeno una volta nella vita.

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Datemi vagonate di cibo e rotolerò nel mondo (semi-cit). Oltre che per il cibo, provo un profondo amore per la filosofia e per qualsiasi forma d'arte. E per il trash, manifestazione incompresa dei lati più oscuri dell'anima.

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