A riascoltare oggi le parole del testo de Il corvo Joe, brano tratto da “La malavita”, si coglie il senso di voler descrivere la propria grottesca diversità rispetto al mondo che, nello stesso tempo, diventa condanna e affermazione sussiegosa di sé. Questo è stato il primo collegamento che è venuto in mente al sottoscritto quando a metà del concerto tenutosi all’anfiteatro Falcone e Borsellino di Zafferana Etnea, Francesco Bianconi, scherzando con il pubblico, ha detto che probabilmente hanno ragione quei giornali che sono soliti definire la band toscana come snob. La questione ruota attorno al significato che comunemente attribuiamo al termine “snob”, soprattutto se riferito al contesto della scena musicale cosiddetta indipendente e, per definizione, alternativa al mainstream. Per dirla con Erich Fromm, essere snob significa essere o avere? In altri termini, la verità sta in una condizione dell’essere o risiede nei numeri decretati dalle vendite, seppur risibili? Il sottoscritto propende per la prima opzione.
Con i loro dischi i Baustelle hanno dimostrato che tutto il patrimonio di suggestioni strettamente riconducibile alla sensibilità della canzone italiana degli anni sessanta, può ancora oggi funzionare se recuperato al netto di ogni revivalismo di convenienza. In questo senso il concerto di Zafferana ha decretato una prova di verità: Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini sono quello che dicono di essere. Il palco allestito come fosse il fondale della trasmissione “Studio Uno” di Antonello Falqui, oppure come uno dei mitici TV Show di Elvis, con il colore rosso delle luci virate al verde acido, un perimetro quadrangolare di sintetizzatori analogici, mellotron e string machine, rappresenta parte integrante di un’estetica e di un linguaggio irrinunciabile senza cui i Baustelle non sarebbero quello che sono. Solo se si è sinceri sino in fondo può scattare quell’alchimia che genera corrispondenza tra l’energia trasmessa da chi si esibisce e quella restituita dal pubblico di rimando.
Nella seconda tappa del tour siciliano, dopo quella di Palermo e l’apparizione a sorpresa alla rassegna di Milo “Luce del Sud”, voluta da Franco Battiato, l’ultimo album “L’amore e la violenza” ha ovviamente occupato il campo della prima parte della serata con brani come Il Vangelo di Giovanni, Amanda Lear, Betty e Basso e Batteria. Tra i brani dell’ultimo lavoro, particolarmente toccanti sono stati La Vita e Ragazzina. Bianconi ha l’esperienza giusta per conoscere bene il suo pubblico e con Charlie fa Surf lo fa alzare dalle sedie, mentre dopo Un romantico a Milano e Gomma arriva il primo dei due momenti topici del concerto: Bruci la città che, spogliato da un’attitudine sanremese, diventa in modo inatteso accorato ed intenso. Ma all’apice della serata si pone la cover di Stranizza d’amuri di Franco Battiato, resa in modo esemplare e con una intensità commovente, anche grazie alla buona pronuncia del testo in dialetto di Bianconi. La guerra è finita chiude il concerto non prima che i Nostri facciano rientro sul palco acclamati a gran voce dal pubblico con Veronica n. 2 e La canzone del riformatorio.
La band, in splendida forma, ha suonato in modo preciso e senza alcuna sbavatura, grazie anche agli ottimi musicisti di supporto, tutti attivi nella modulazione dei suoni di arpeggiatori monofonici e delle tastiere sparse sul palco. Le luci si riaccendono, la band ringrazia con un inchino corale di riconoscenza per il calore e l’entusiasmo di quanti hanno assistito ad una performance di grande livello. Uno dei concerti che segnerà questa estate.
Giuseppe Rapisarda
