“Qualunque sia il tuo Impero, ovunque si trovi, qualsiasi nome abbia, ci deve essere da qualche parte un suono che lo farà crollare”.
Mannarino torna a Catania, al Teatro Metropolitan, per proporci il suo nuovo concept tour “L’impero crollerà”, nato per portare la sua musica in una dimensione più intima dove l’impero rappresenta un simbolo e una metafora, lo scenario perfetto di tutte le sue canzoni. Di impero si parla spesso nei brani di Mannarino, con una forza narrativa tale da immaginarlo come scenario delle storie in essi raccontate, storie che è impossibile collocare temporalmente, soprattutto nel presente, perché parlano di luoghi fantastici, il cui scenario è quello di un paesaggio ostile e buio, ove i personaggi vengono spesso schiacciati dalla brutalità della vita, ma non per questo perdono la speranza nel futuro. L’idea che ha ispirato questo tour è stata proprio quella di fare in modo che il pubblico potesse entrare in questi luoghi, staccandosi dalla realtà.
Si spengono le luci e non stupisce la richiesta di spegnere i cellulari. Poco dopo, illuminato da due fari, al centro della scena, appare Mannarino, accompagnato dalla sua chitarra. Il pubblico esplode, segno dell’amore che Catania ha per questo artista, a metà tra cantautore e cantore, il cui carisma è innegabile. Parla con noi come a degli amici, ci confida di aver chiesto di spegnere i cellulari e di sperare che per gran parte dello spettacolo rimangano spenti, perché le luci dei display lo portano alla realtà, realtà dalla quale per queste ore vuole allontanarsi e allontanarci. Ci confida che spesso il blu dei cellulari lo fa distrarre e che questi strumenti purtroppo ci hanno tolto la magia di coltivare le attese. Ci parla di regole e della capacità dell’uomo di autoregolamentarsi, per cui non ci saranno controllori in sala per far rispettare questa sua richiesta, ma spera che saremo noi, da soli, a capire la sua importanza. Si parte con le luci soffuse, con l’opener dell’ultimo album “Roma”. Ciò che colpisce nella prima parte del concerto è la trasformazione negli arrangiamenti dei brani, che ci presentano dei pezzi rinnovati, come Marylou. La scenografia cattura; espone una bandiera nera e si svela e si trasforma brano dopo brano, accompagnata da un gioco di luci mozzafiato, vero e proprio spettacolo nello spettacolo. Si prosegue con “Apriti cielo” e “Malamor”. Il pubblico canta insieme a lui tutti i brani, sia del nuovo album che dei precedenti lavori, dimostrandosi presente e attento, facendo spesso fatica a restare seduto sulle poltrone. Uno dietro l’altro tutti i personaggi raccontati nei brani di Mannarino si affacciano sul palco, raccontando i loro dolori, come dei vinti che cercano riscatto in questa o in un’altra vita. In fondo la caratteristica della poetica dell’artista è proprio quella di raccontare le sfumature più dure della vita, accompagnandole sempre con un messaggio di speranza verso il futuro, con la promessa che un giorno tutta la sofferenza verrà ricompensata, in un altro mondo, in un’altra vita, e che il cielo si aprirà.
Mannarino canta di sconfitte e ribellione, non tirandosi mai indietro nel confronto col suo pubblico, col quale spesso dialoga, cercando di portare un messaggio concreto. Spiega ancora il perché della sua voglia di non vedere i cellulari accesi in sala, paragonandosi a colui che apre il suo cuore mentre la persona con cui si sta confidando, invece di ascoltarlo e prestare attenzione, guarda il cellulare ascoltandolo distratto. E in effetti la tecnologia, i cellulari, poco hanno a che fare col suo mondo, con i suoi scenari, ancorati ad un passato lontano.
Prima di “Scendi giù” Mannarino tira fuori il suo talento interpretativo, facendosi carcerato, raccontandoci la noia di una vita in cella, in un monologo volutamente lungo, per trasmettere al pubblico quanto possa essere lunga la giornata di un recluso, spiegando che forse la rieducazione, l’integrazione sociale, dovrebbe avvenire lontano da lì.
Grande attenzione per i brani del nuovo album, ma anche per quelli tratti da “Al Monte”, il precedente. Il finale, invece, vede predominare i brani dei primi lavori fino ad arrivare a una conclusione festosa, dove si rompono le righe, si va tutti sottopalco a ballare e a cantare, a festeggiare la fine di un dolore, a celebrare la vita, scatenandoci sulle note di “Tevere Grand Hotel”.
Non dimentica che alla Sicilia è legato in modo particolare, perché tutti i suoi album sono nati qui, grazie alla collaborazione con Tony Canto, suo braccio destro da sempre, che sorprende chiamandolo sul palco e spiegando come quest’uomo sia riuscito ad arginare la sua vena creativa, diventando l’artefice del giro di chitarra di “Me So’ Mbriacato”, che suonano insieme mentre il pubblico in sala si scatena.
Si chiude in festa un live che definire concerto sarebbe riduttivo.
Report a cura di Egle Taccia
