Avete presente Black Mirror, la serie TV che immagina futuri distopici, dimensioni parallele virtuali ed ogni sorta di abominio tecnologico? Ecco. Scriveteci un concept che, in sostanza, parla di un mondo in cui pensieri inconsci e sogni sono trasmessi come intrattenimento per la popolazione, senza riguardo per i sognatori stessi, uniteci un songwriting finissimo ed una accuratissima tecnica musicale e sfornerete Automata I, prima parte di un concept album doppio (la seconda parte dovrebbe arrivare in estate) magistralmente ideato dagli americani Between the Buried and Me. Il quintetto della Carolina del Nord sforna l’ottavo album in studio, dopo dischi seminali nel genere ed adorati dai fan del prog moderno, come Colors e Coma Ecliptic.
Il disco è composto da 6 tracce, per una durata totale di circa 35 minuti. E’ una montagna russa di sonorità diverse, contrastanti, dissonanti ma che comunque fuse assieme compongono un meraviglioso quadro musicale. La traccia iniziale, Condemned to the Gallows ha un inizio diretto e senza troppi fronzoli, che trasporta l’ascoltatore nel mood giusto. Le linee vocali di Tommy Giles Rogers sono incredibilmente variegate, passando dal growl al pulito senza il minimo sforzo. Lo stile BTTBAM è immediatamente riconoscibile, soprattutto nell’assolo che troviamo verso la metà del brano e dal ritornello cantato in pulito. La successiva House Organ continua a trasportaci nel mondo folle concepito per l’album, in un intrecciarsi di generi musicali legati fra loro e frullati come solo uno chef stellato saprebbe sapientemente mescolare, con un finale veramente epico ed emozionante, legato alla successiva Yellow Eyes, traccia da quasi 9 minuti, molto tecnica e complicata, che ricorda band come i Protest the Hero. Menzione speciale per il bridge, che ci porta nei lidi progressive anni ’70 tanto cari agli Opeth. La successiva Millions è di sicuro la più evocativa ed emozionante traccia, con il suo groove etereo in 5/4 che trasporta nella dimensione oscura della testa del malcapitato ormai totalmente alla mercé della folla, che assorbe i suoi pensieri. Tralasciando Gold Distance, una piccola traccia da un minuto, arriviamo all’ultima traccia chiamata Blot, dove il nostro quintetto sforna tutte le sue capacità tecniche, compositive e di songwriting (strizzando un occhio a sonorità indiane e “classical prog” che forse ricordano un po’ troppo i Dream Theater, cosa comunque assolutamente trascurabile se si guarda alla totalità del disco). Il programma di assorbimento dei pensieri è ormai completo, il macchinario spegne il soggetto, il pezzo volge al termine e rimane un senso di “incompiuto” allo scadere dei 35 minuti.
Questa, forse, è l’unica pecca di questo album straordinario: lasciare l’ascoltatore con un senso di incompletezza, di vuoto, di confusione e smarrimento. Cosa probabilmente voluta, visto che la seconda parte di questo concept arriverà a metà 2018, ma il feeling di “saudade” ti pervade appena l’album termina. I Between the Buried and Me sono senza dubbio spanne avanti centinaia, se non migliaia di altre band che fanno parte della scena prog-core-inserire altre mille definizioni del genere , e lo confermano anche con questa ultima creazione.