In Italia, da diversi anni a questa parte, si sforna shoegaze, psych, post-punk, dreampop, noise ad un livello talmente pregevole, per qualità e consistenza della produzione, da conquistare attenzioni e riconoscimenti mai meno che entusiastici, soprattutto in ambito internazionale, laddove la scena tricolore di adoratori del fuzz e del riverbero è stata persino elevata a rango di genere autonomo, sotto la (orripilante, ma indubbiamente efficace) denominazione di italogaze.
Non è un caso, infatti, che una label di culto come la londinese Fuzz Club, santuario discografico di psichedelia e sonorità affini, abbia voluto sotto le proprie insegne una nutrita schiera di validissime band nostrane come Sonic Jesus, My Invisible Friend, The Gluts, JuJu e, appunto, i veneti New Candys.
Con Bleeding Magenta il combo composto da Fernando Nuti, Diego Menegaldo, Stefano Bidoggia e Dario Lucchesi approda alla terza prova sulla massima lunghezza in pieno stato di grazia creativa, riuscendo a condensare in maniera coerente, bilanciata e immune da scivolate citazioniste, un universo sonoro in cui la componente psych si ibrida felicemente con suggestioni shoegaze, post-punk e noise. Il risultato è un album di rara solidità ed efficacia, che certifica il raggiungimento della piena maturità espressiva, dopo due prove già ottime come il precedente New Candys As Medicine (2015, Picture In My Ear/Fuzz Club) ed il debutto Stars Reach The Abyss (2012, Foolica Records), e la conseguente acquisizione di una cifra stilistica unica e riconoscibile; circostanza ancor più degna di nota in un genere dove, spesso, la filologica reiterazione di stilemi, suoni, pattern tende a mascherare povertà di idee e di canzoni.
E che ai New Candys non manchino le doti di scrittura lo si capisce già in apertura di album: la title-track è introdotta da una chitarra livida, il cui riff acuminato fende i muri di granito innalzati da una sezione ritmica compattissima, mentre le voci ultrariverberate di Nuti e Menegaldo si sciolgono in un mantra spaziale. In ossequio a quel senso circolare tanto caro ai Pink Floyd, il brano ricompare a chiudere il disco con una versione reprise caratterizzata da spiazzante varietà armonica. Il singolo Excess, nervoso e serrato, evoca The Black Angels, The Raveonettes e A Place To Bury Strangers, per poi lasciare spazio all’incedere marziale di Mercenary, guidata da una linea di basso che gronda fuzz a livelli da codice penale. Da brividi, poi, le influenze indiane di Sermon, con una stratificazione di sitar che è quintessenza psichedelica 60’s, ma senza manierismi di sorta e con il valore aggiunto del sensuale contributo vocale di Julia Hummer. Altra gemma è Tempera, la cui struttura, semplicissima, è magnificata da una sognante coltre di riverberi shoegaze. Dal sogno si passa all’ipnosi mistica di Lunar Day, all’andamento in puro stile Black Rebel Motorcycle Club di Silver Eyes Arise e alla dilatazione della suite tripartita The Outrogeous Wedding.
Nel suo insieme, Bleeding Magenta impressiona per il senso di caratterizzazione ed unitarietà, anche in termini di ispirazione estetica, che lo attraversa. Artwork, videoclip e, ovviamente, il titolo stesso dell’album, creano un coerente e continuo richiamo all’immaginario cinematografico del primo Dario Argento e del Nicolas Winding Refn di Drive, Only God Forgives, The Neon Demon. Magenta sangue è infatti il colore utilizzato nelle scene più cruente dei film horror e splatter anni ’70: è il sangue della finzione, e dove c’è finzione non può esserci dolore.
Musica in grado di esorcizzare la sofferenza, allora? Forse, ma di sicuro quella dei New Candys è musica di cui abbiamo dannatamente bisogno.
Mario Lo Faro