A tre anni di distanza dall’eccellente “B’lieve I’m going down…” e ad uno dal riuscito “Lotta Sea Lice” scritto a quattro mani con l’amica Courtney Barnett, il chitarrista giramondo Kurt Samuel Vile compie il suo ritorno discografico da solista con “Bottle it in”, rientrando sulle scene in maniera discreta ma allo stesso tempo decisa.
Kurt già a partire dalla copertina dell’album ci comunica quello che sarà il mood dell’album: armato delle sue fidate chitarre e del suo inconfondibile stile semiacustico ispirato alla grande tradizione del rock cantautoriale statunitense, l’artista ci vuole portare in viaggio con sé, ascoltando le sue storie ed esplorando luoghi ora già conosciuti, ora no, accompagnati da un sottofondo di canzoni nuove ma, paradossalmente, talmente familiari da suscitare un forte senso di rassicurazione nell’ascoltatore. Sembra quasi logora la copertina, come se questo LP sia stato preso dallo scaffale, suonato migliaia di volte e poi rimesso al suo posto in mezzo ai grandi classici… ma in realtà è un’illusione dell’artwork, perché se anche “Bottle it in” sembra essere uno di quei dischi che ci accompagna da una vita, esso è al contrario una fresca release di questo prolifico 2018.
Da tranquillo e sornione viaggiatore dotato di un grande spirito di osservazione per le piccole cose e la vita di tutti i giorni, Vile riesce nel suo duplice intento di colpire l’ascoltatore realizzando un album che rispecchia perfettamente il suo consolidato stile, ma nel quale allo stesso tempo si diverte a deviare dai suoi standard compositivi, giocando con note e arpeggi al punto da inserire nuovi, piacevolissimi orpelli acustici all’interno del suo “canone”.
Diventa ancora una volta interessante ascoltare il “canto disincantato” di Kurt, intento a narrarci storie di ogni genere sorseggiando con calma il suo bicchiere, di birra o whiskey che sia: dai problemi legati alla ricerca di parcheggi – sì, sul serio – dell’opening track “Loading Zones”, a pensieri sparsi e nostalgici nati su una spiaggia, in cui ogni cosa sembra voler tornare indietro nel tempo (“Bassackwards”); dalle considerazioni autobiografiche di una vita da rocker on the road di “Rollin with the flow” o di “Check Baby”, alle descrizioni di piacevoli incontri col gentil sesso di “Skinny Mini”, Kurt Vile con il suo linguaggio prosaico ci coinvolge in ordinarie storie di un musicista tranquillo ma non troppo, ora catturando la nostra attenzione col suo canto monocorde, nel quale scandisce ogni singola parola nel suo desiderio e bisogno di essere ascoltato, ora incantandoci con le splendide note della sua chitarra, più eclettica del solito come possiamo ascoltare nella vivace “Yeah Bones”, nelle melodie western di “Come Again” o nei tocchi estremamente soft della lunga title track.
Come definire quindi questo “Bottle it in”? Kurt Vile, infischiandosene apparentemente di tutto sembra proseguire lungo i binari di uno stile consolidato, desideroso di ritagliarsi un proprio spazio in mezzo ai “classici inconfondibili”: il nostro, tuttavia, riesce allo stesso tempo nella difficile impresa di non suonare mai ripetitivo fra un album e l’altro, lavorando assai bene tanto sui testi delle sue storie, quanto soprattutto sui dettagli musicali più fini, sperimentando con accordi, scale e la durata stessa delle proprie canzoni, ora dilatate più del solito, ora più brevi e ritmate, raggiungendo la notevole lunghezza di 78 minuti senza mai stancare l’ascoltatore.
Autore di musica da viaggio per eccellenza e poeta della malinconia senza scendere mai nel patetico, Kurt Vile si lascia nuovamente apprezzare per una vena compositiva improntata su una profonda coerenza artistica, mostrando come si possa rinnovare la propria identità musicale senza stravolgere il proprio stile, ed i dettagli che rendono “Bottle it in” l’ennesima uscita “speciale” all’interno della sua discografica, ce lo fanno sicuramente salutare come il suo “magnifico settimo disco”.
Tracklist: