“I push my seed in her bush for life/It’s gonna work because I’m pushin it right.”
Cody ChesnuTT è un artista che di certo ha ricevuto meno di quello che il suo talento gli ha consentito di seminare: e se nel suo brano più famoso diceva di avere “spinto bene”, probabilmente qualcosa non è andata per il verso giusto. Sono passati, infatti, cinque anni dall’ultimo lavoro di ChesnuTT (quattordici dal brano di cui sopra e dall’album con il quale ChesnuTT si è fatto conoscere al mondo, complice il Black Combo, The Roots) ed è davvero incredibile, ascoltando questo – notevole – ultimo lavoro, My Love Divine Degree (One Little Indian/Audioglobe), che il Nostro abbia fatto passare così tanto tempo dall’ultima produzione e, soprattutto, non venga abitualmente citato quale punto di riferimento dalle nuove generazioni che si affacciano al mondo dello show business musicale, del R’N’B e del Soul in particolare.
Appare incredibile soprattutto cominciando a decodificare il disco in ascolto che parte con i 26 secondi di Anything can happen: un soul tra le nuvole (tagliato in un fadeout più doloroso di una coltellata) che rimanda immediatamente a Solo (Come, 1994) unica gemma di un Prince già abbastanza preso dalle proprie vicende anagrafiche rispetto a quelle, ahimè ben più importanti, della produzione musicale.
E’ con la seconda traccia che ChesnuTT accelera vertiginosamente, mette subito le cose in chiaro e arriva subito al corpo dell’album e dell’ascoltatore. Provate, infatti, a restare fermi ed impassibili rispetto al groove di Africa the Future, brano che sin dal titolo riferisce di quale sia la cartina di tornasole dell’autore: batteria rigorosamente acustica su un tempo incredibilmente rooty, pad di tastiera à la People without (inedito da un celeberrimo aftershow, sempre del genio di Minneapolis), ed un cantato che è un anthem, un mantra, una preghiera ed una speranza, all in one. Un brano magnifico che riporta immediatamente alla mente tutta la forza di Richie Havens miscelata dentro un funk asimmetrico e potentissimo, dove appena una nota (una) di chitarra segna la direzione. Si passa a She ran away sorta di raw r’n’b dolcissimo che inizia come American Boy di Kanye West e diventa The Girl is mine del Re del Pop, ma dove emerge la naturalezza assoluta del cantato di ChesnuTT , insieme ad una scelta artistica (il disco è prodotto da Anthony “The Twilight Tone” Khan) che immaginiamo volutamente priva di sovrastrutture digitali, conferendo personalità al brano. In evidenza Bullets in street and blood: Cody si ricorda di essere davvero negro e sforna questo gioiello di blaxploitation – in pieno stile delfonics – nonostante la tematica assolutamente politica. Si arriva, con una spontaneità che lascia piacevolmente colpiti, al high garage ska di Make a better man e soprattutto al reggae blanco di I stay ready: uno dei brani più elettrici dell’album, dove la produzione sembra prendere a piene mani dagli ’80 e la chitarra à la Andy Summers rimanda chiaramente al trio capitanato dal Pungiglione inglese. Colpiscono nel segno It’s in the love (siamo dalle parti dei N.E.R.D. di Pharrell Williams) e la splendida conclusione Have you heard anything from the Lord today? Rhythm N’ Blues come Dio comanda, dove il suono torna puro, acustico e vero, senza alcun overdub di produzione, raw come è la natura artistica di Cody ChesnuTT.
Con buona pace delle regole e delle tempistiche dello showbusiness, Cody ChesnuTT fa come e quando gli pare: compone dischi quando gli va di farlo, non curandosi assolutamente di miscelare generi diversi e anche produzioni diverse, pur avendo molto rispetto del suono e degli stilemi black. Se la diversità è un dono, Cody è un uomo toccato da Dio.
God bless him.
Filippo Basile
