È da poco nata una nuova etichetta, la Volume! Discografia moderna, che ha già al suo interno artisti interessanti come Il Grido, band che lo scorso aprile ha pubblicato il suo omonimo album, un bel concentrato di alt rock, stoner, grunge e noise.
La band romana non le manda di certo a dire e l’album è un mix di rabbia e scomode verità. Innegabile l’influenza degli anni ’90 sui suoni della band, rielaborati con una potenza tale da lasciare di stucco nel momento in cui si preme play e si entra nel loro mondo. Uno schiaffo in faccia, questo l’effetto del disco al primo ascolto. I suoni sono energici, ben strutturati ed eseguiti con maestria, conditi da ritmi trascinanti, suoni distorti e una capacità espressiva non comune. I testi sono cattivi, sanno cosa vuol dire essere rock.
Si capisce chiaramente che la loro musica nasce da un’urgenza espressiva, che utilizzano i loro brani per poter dire tutto ciò che pensano ed esprimere tutta la loro rabbia contro il sistema e il mercato musicale.
La band ci parla del qui e ora nel brano d’apertura (Zero); di canzoni che se non scrivi muori (La canzone di merda); delle apparenze; di idee pessime; delle bugie per chi va di fretta (Solo se luccica); ci dice che la vita va presa per i fianchi (Lividi), per poi perdersi nelle emozioni del brano più intimo del disco “Con un soffio”, dimostrando che quando vuole sa anche rallentare i battiti e perdersi nella dolcezza dei ricordi da spazzare via, nella sofferenza gridata sul finale del brano, ma è solo una piccola pausa prima di tornare in sé.
L’album de “Il Grido” è sicuramente interessante, forse la sua pecca è quella di cadere ogni tanto nella ripetitività, soprattutto nella prima parte, dove poteva prendersi qualche azzardo in più, come invece accade nella seconda, che risulta maggiormente varia. Una tracklist meglio bilanciata, probabilmente, avrebbe reso l’ascolto più interessante. Per il resto abbiamo davanti una band che sa il fatto suo, ha degli argomenti, se ne frega delle mode del momento e sa come trasporre la propria rabbia in musica.
Recensione a cura di Egle Taccia