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No Review

No Review – High As Hope, le confessioni dei Florence + The Machine

Delle calde note di chitarra (June) aprono “High as Hope” dei Florence + The Machine ed è proprio in questi pochi secondi che comprendiamo di essere entrati in una nuova dimensione del progetto.

Messe da parte le sovrastrutture del passato, siamo spettatori di una serie di confessioni in cui la voce è la prima protagonista, perché le parole non sono mai state così importanti come in questo progetto, fatto di scuse, preghiere, confessioni private. Gli arrangiamenti ci sono, non fraintendiamoci, a volte hanno dei contorni epici come in “Big God”, ma la voce è sempre la protagonista assoluta. Si parla di un passato turbolento, di droghe, di successo, di errori a cui si cerca di rimediare con delle scuse sincere, di un amore non corrisposto. Al centro di questo lavoro c’è quindi il passato adolescenziale di Florence, che nella sua Londra, giorno dopo giorno, mette in piedi questo album, fatto di brani potenti, ma non da primo ascolto. L’album va necessariamente assorbito per poterne scoprire tutti i segreti.

Dopo l’apertura cupa di “June”, che ci porta subito nel mondo privato dell’artista, in “Hunger” vengono affrontati i demoni delle dipendenze e le vertigini del successo (I thought that love was in the drugs/But the more I took, the more it took away/And I could never get enough/I thought that love was on a stage/Give yourself to strangers) su melodie dalle tinte folk molto trascinanti. South London Forever” è uno di quei brani dotati di una capacità descrittiva tanto forte da riuscire a portare l’ascoltatore in quei luoghi, colori ed atmosfere, imprimendo il medesimo stato d’animo di chi li ha vissuti. “Big God” è un pezzo dove un pianoforte guida i pensieri della notte, mentre una città senza stagioni, Los Angeles, fa da sfondo alla struggente “Sky Full of Song”. Un discorso a parte merita “Grace”, una canzone di scuse rivolte alla sorella per averle rovinato il compleanno, che si trasforma in una dichiarazione d’amore fraterno da brividi, in un brano in cui la sincerità è la protagonista, che inizia sussurrato e poi pian piano esplode, proprio sul nome della sorella, quasi a volerlo glorificare. Di sicuro uno dei brani più forti del disco, che prosegue con un altro pezzo dedicato ad un interlocutore specifico, “Patricia”. Il disco si chiude con “No Choir” parlando di quanto sia ordinaria la felicità e di quanto sia difficile scriverne.

Se analizziamo “High as Hope” confrontandolo col passato musicale della formazione, risulta evidente la voglia di abbandonare gli arrangiamenti troppo elaborati, per sceglierne altri molto più intimi e più adatti a questi dialoghi a cuore aperto, veri protagonisti di quest’ultimo lavoro, decisamente più essenziale, ma altrettanto coinvolgente.

Recensione a cura di Egle Taccia

Written By

Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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