“Sono di nuovo io, Daniele Silvestri”: sembra una frase semplice, ma in essa è facile immaginare e ascoltare con la mente il ritorno del cantautore romano ancor prima di aver ascoltato le quattordici canzoni, di cui Sanremo ha solamente rappresentato un piccolo assaggio dell’ennesima, ghiottissima portata della discografia di Silvestri. La nona, per l’esattezza, un numero importante, da centravanti di razza, che deve aver colpito l’immaginazione del cantautore che nel booklet definisce “DS9” questo nuovo disco, ispirandosi chiaramente alla sigla d’arte di quel fuoriclasse del mondo del pallone.
Nono album, quattordici canzoni, oltre sessanta minuti di musica e sostanza per il cantautore, che dà libero sfogo alla propria creatività, ai propri mai banali pensieri, figli di una visione schietta di un mondo, di un’Italia, in cui non si riconosce più e di quella visione altrettanto sincera e trasparente dei rapporti sentimentali, nella quale l’aspetto ruvido e fondamentalmente timido si sposa con il coraggio di dire chiaramente le cose, senza cadere nel gioco dei compromessi, per cui anche Sanremo alla fine è stato un semplice bussare alla porta per annunciarsi con discrezione in mezzo al caos ed alle solite polemiche.
Sì, Daniele Silvestri ancora una volta torna in maniera prorompente, ma mai tronfia, guidato dal fatto di avere molte cose da dirci e da un’ispirazione invidiabile per quanto riguarda l’aspetto puramente musicale, che lo porta ogni volta ad alzare l’asticella per rimettersi in gioco, confrontandosi con nuovi stili e musicisti, coinvolgendo nuovi colleghi/amici (Davide Shorty e il duo Manuel Agnelli/Rancore) inseguendo un unico obiettivo: esprimersi restando sé stesso, abbracciando però i linguaggi musicali più attuali, ben diversi da quelli degli esordi.
Che parli di una contemporaneità sconsolante con un’amarezza ed un’ironia che a dispetto di tutto non abbandonano mai definitivamente la speranza di un futuro migliore (“Qualcosa cambia”, “Blitz gerontoiatrico”, “Tempi modesti”), della perdita di senso del ridicolo con toni da commedia trasposta in musica (“Complimenti ignoranti”, “Tutti matti”) o di puro sentimento (“Prima che”, “La cosa giusta”) la sostanza cambia poco: Silvestri è giunto ad un punto della propria carriera in cui riesce solamente a dire cose interessanti e significative con una spontaneità invidiabile, che dovrebbe ispirare tutte le giovani leve che vogliano intraprendere la dura vita del cantautore.
La causticità e l’ironia, in queste canzoni, coesistono con la speranza, così come le lacrime si affiancano al sorriso, il disincanto alla capacità di non distogliere lo sguardo, alla ricerca di qualcosa che ancora ci possa stupire. Poco importa come collocare “La terra sotto i piedi” all’interno della discografia dell’autore romano, se più in alto o più in basso di album come “Il dado” o il penultimo “Acrobati”: qui dentro è raccolta l’essenza di Silvestri e il suo sguardo, come l’artwork tratto dall’amata Favignana ci mostra, e il cantautore ci conduce per mano nei suoi luoghi del cuore, all’interno di una narrazione suggestiva ed importante.
Al di là della musica, come sempre di altissimo livello, l’ultimo album di Daniele Silvestri è uno di quei rari lavori contemporanei che il pubblico di ieri e di oggi apprezzerà fondamentalmente per dei contenuti che toccano davvero le corde dei sentimenti ed inducono a pensare. In tempi così superficiali, tanto onore al merito per un artista che riesce in questo compito con cotanta naturalezza.
Tracklist:
- Qualcosa cambia
- Argentovivo (feat. Manuel Agnelli & Rancore)
- La cosa giusta
- Complimenti ignoranti
- Tutti matti
- Concime
- Scusate se non piango
- Prima che
- Blitz gerontoiatrico
- La vita splendida del capitano
- Rame
- Tempi modesti (feat. Davide Shorty)
- L’ultimo desiderio
- Il principe di fango (solo un lieto fine)