La musica di Simone Pellegrino sembra uscita da un tempo cristallizzato nella memoria, da immagini trasfigurate dal languore di una estate infinita che svuota le città e spalanca le finestre delle case. La scrittura dell’artista salentino vive di svariati registri che si incrociano come piani inclinati, tenuti insieme dalla cifra della metafora che diventa il racconto di una sorta di microcosmo i cui protagonisti sembrano muoversi come all’interno di una snowball rovesciata e agitata dagli eventi, con la neve artificiale che si posa sui tetti di minuscole città immaginarie.
L’ispirazione trae linfa dalla canzone d’autore come l’elettro-pop metafisico di Franco Battiato, dalle istanze ironiche del mondo di Max Gazzè, così come dalla delicatezza eighties degli intrecci di The Go Find e Grandaddy. Dopo anni passati a scrivere musica, in parte rilasciata con l’EP “Il bello delle cose a metà”, Simone Pellegrino, con il moniker ioPellegrino, pubblica adesso “L’amore nel 3002”, variopinto almanacco di nostalgie post adolescenziali, nel senso migliore del termine. L’album è un apparato disincantato che si nutre dell’eco di un tempo passato, anche quando il racconto assume la prospettiva di un futuro ipotetico; in ogni cosa risuona un ricordo come mancanza intima, che siano le spiagge del ’90, i robot dei cartoni animati che ancora combattono il Male o, ancora, le corse controvento con il motorino di un amico.
La scrittura non è mai banale e usa sapientemente il registro della leggerezza per descrivere paesaggi surreali in cui ogni soggetto popola un romanzo collettivo trasfigurato nei tic, nelle mode fatue, nei Suv troppo grandi per le assolate autostrade dell’immaginazione. Ogni canzone è fatta di dettagli curati, di suoni misurati e di un’elettronica minimale, soprattutto nella metronomica dei pattern ritmici su cui si struttura l’andamento di testi che definiscono l’identità di una generazione che oggi si sente dispersa nel clamore di un mondo dislessico nella comunicazione dei sentimenti.
Nell’opener L’amore nel 3002 si risente Max Gazzè, nascosto per osservare il mondo dagli oblò delle astronavi, la successiva Le strade del ‘90 è puro synth-pop anni ottanta con una apertura di dolce malinconia che si conficca nella testa. L’Era del telecomando canta la massificazione avvolta in plastica lucente in cui la “libertà finisce negli autogrill”. Che Pellegrino possegga la scienza di scrivere ritornelli azzeccatissimi ne è prova Grandi Magazzini oppure Semilibero, vicino al mood dei Baustelle, mentre Quando sono felice rappresenta il momento più toccante dell’album, con le sue nuances autobiografiche.
“L’amore nel 3002” è un album denso dove trovare colori sgargianti a fare da catarifrangenti in una piazzola di sosta quando si è in avaria, aspettando che arrivi in soccorso una nuova umanità, più semplice, profonda e aperta alle meraviglie della vita.
Giuseppe Rapisarda
