Gli Hookworms sono tra le proposte musicali più intriganti che la terra d’Albione abbia da offrire di questi tempi. Sul loro conto si sa veramente poco: è un quintetto formatosi a Leeds nel 2010, i membri della band si identificano con le iniziali dei loro nomi e hanno tre LP – ed una manciata di EP – all’attivo pubblicati tramite Domino Records. Fortunatamente, le questioni pirandelliane non sono tanto interessanti quanto la loro musica fresca, citazionista al punto giusto e travolgente. Sin dagli esordi, i nostri hanno mostrato uno spiccato interesse per la psichedelia a cavallo tra Inghilterra e Germania. Col passare degli anni e con l’incisione dei vari album, la loro estetica si è radicalizzata ed è approdata ad una posizione piuttosto originale (aggettivo da usare con il contagocce nel 2018) nel panorama underground. Le strutture dei loro brani flirtano sia con la tradizione kraut (Neu!; Kraftwerk) che con i pastiche post-rock cerebrali tanto cari alla Gran Bretagna (Stereolab). Nel raggiungimento della loro maturità artistica, gli Hookworms hanno deciso di inglobare richiami sixties, grazie anche a semplici, ma efficaci partiture di organo e di fare emergere una certa vocazione ossimorica elettronico-analogica, testimoniata da groove percussivi minimali ed ossessivi e all’uso controllato di beat digitali.
È proprio con un beat digitale (Negative Space) che viene inaugurata l’ultima fatica degli Hookworms, intitolata Microshift. In questa release, i nostri esplorano ancora più dettagliatamente i paesaggi sonori già imbastiti nella precedente uscita The Hum. La sopracitata opener fa intuire in maniera chiara ed evidente quali siano le intenzioni della band: continuare sul selciato elettronico e impreziosirlo con ulteriori contaminazioni di genere. Negative Space vira verso territori techno ed è fondata sul contrasto tra l’impianto strumentale ballabile e le lyrics sofferte, dove MJ narra di un amico venuto a mancare e del dolore che ne consegue. La successiva Static Resistance è un rush di adrenalina scoppiettante, scritta con il nuovo linguaggio Hookwormsiano: vocals dal piglio punk, agilità garage e un tappeto massiccio, ma non invadente, di synth e organi. Opener è introdotta da un tappeto soffuso di droni e continua con un sapiente gioco di ingressi ed uscite strumentali sopra una base in pieno clima kosmische Musik. Anche nella penultima traccia Reunion il quintetto di Leeds cerca di fare propri i dettami rumoristi e free form. Assieme all’ormai regnante componente elettronica, nel disco più volte stupisce l’utilizzo di strutture a metà tra dance e new wave: chiara testimonianza è la doppietta Each Time We Pass e Boxing Day.
Nonostante sia prematuro dirlo, poiché siamo soltanto a marzo, Microshift si candida ad essere uno dei lavori più interessanti in campo indie del 2018. La crescita artistica degli Hookworms è stata costante e coerente e questo lavoro è il simbolo della loro ormai raggiunta maturità artistica. L’introduzione di novità stilistiche si è rivelata azzeccata e, anche se la psichedelia dark e chitarrosa degli esordi è un lontano ricordo, la band non si è snaturata e ha mantenuto intatte comunicabilità ed efficacia. Sarà indubbiamente curioso per i musicofili del Bel Paese sentire la resa live di questo disco. Gli Hookworms sono dei maestri nell’arte del feedback mentre si esibiscono dal vivo e sarà motivo d’interesse vedere quali e quanti accorgimenti la band proporrà in sede live per far rendere al meglio il nuovo (e i vecchi) lavoro(i).