Le nuove leve del jazz devono annoiarsi molto, più di quanto non abbiano mai fatto i loro predecessori : è quello che impone l’ascolto di questo nuovo step discografico del trombettista Gabriele Mitelli che con il suo ultimo O.N.G. Crash (Parco della Musica, 2017) offre una prova maiuscola tanto nella capacità di elaborare, di immaginare visioni sonore, quanto nella capacità di dare corpo e suono alle stesse.
Devono annoiarsi molto, si diceva, se non riescono, come spesso accade al Nostro quanto meno in buona metà del full length in questione, a focalizzarsi – per più di pochi minuti a brano – su un tema: nonostante alcuni di questi siano assolutamente spettacolari. Un eclettismo davvero da lasciare senza parole in alcuni frangenti, frutto – con ogni probabilità – anche del notevole ensemble che accompagna Mitelli su disco (Enrico Terragnoli alla chitarra elettrica, Gabrio Baldacci alla chitarra elettrica baritono e Cristiano Calcagnile alla batteria, oltre allo stesso Mitelli alla tromba).
La sensazione è che un produttore di medio rango manderebbe alle stampe almeno dieci album diversi con il materiale riversato nei quasi 57:00 minuti di O.N.G. Crash, ma evidentemente la multi cultura di Mitelli, in uno alla già celebrata noia nell’insistere nei temi, propria del jazzista moderno, portano a rifiutare gli schemi del pop per sfondare – e nemmeno di poco – quelli del crossover nella migliore accezione del termine.
Paradossalmente l’album (composto da tre suites – Frequency/Another Missarà/Tuco/Lanquidity; Rash/Karma/Transition/A Tratti; Take off/Arati/Basic Elements/Old man) comincia in maniera un po’ confusionaria ed anonima, con un rumorismo che pure ha padri nobili (le percussioni di Agostino Marangolo e le divagazioni floydiane del centro onirico di Atom Heart Mother, nonché alcuni temi di tromba che avrebbero trovato posto tra le immagini delle vicende di Mario, Beppe, Tiberio, Capanelle e Ferribotte) ma si dipana e muove come per trovare una direzione: direzione che arriva, deflagrante, al minuto 8:00, circa, della prima suite, dove un ipnotico groove di tastiere ci riporta direttamente al miglior Al Di Meola (1977, Midnight Tango, da Elegant Gypsy). Si fa davvero fatica a non avere i brividi rispetto ad una tale, multipla, capacità evocativa nel giro di pochi minuti, provenendo, in maniera del tutto da naturale, dalla fase immediatamente precedente di pura esibizione muscolare di rumore.
Ma la paura di annoiarsi del jazzista postmoderno è dietro l’angolo ed infatti si deve cambiare subito rotta, ma è, nuovamente, un vero piacere: è il min. 10:00 (dovrebbe essere la volta dell’ultimo movimento della prima suite – Lanquidity) ed un crescendo morriconiano in salsa stoner (esatto, stoner) chiude Frequency. A P P L A U S I.
Si passa alla seconda traccia Rash/Karma/Transition/A tratti ed è un florilegio di trumpets.
Il Miles Davis di High Speed Chase viene richiamato durante tutta la suite, ma anche qui non manca il colpo di coda: dopo svariati minuti di extravaganza whammy bar su chitarre baritone, altre spudorate citazioni floydiane (la batteria di A Saucerful Of Secrets), arriva l’anthem, una splendida progressione armonica in maggiore (incredibile dictu) che ha nei Genesis di Robbery, Assault and Battery (A Trick of The Tail, 1976) i genitori di sangue. Transition è la parte della suite che richiama l’improvvisazione hendrixiana del finale di Voodoo Chile e A Tratti è l’omaggio ai CSI, le cui voci vengono riprodotte in fase di mixaggio: avanguardia dell’avanguardia.
Take Off/Arati/Basic Elements/Old man, l’ultima traccia suite è quella meno complessa, dove la fonte torna ad essere la fusion di Al Di Meola, il passaggio centrale – Arati – vive di notevole momenti di whammy pedal applicati alla chitarra baritona, (verosimilmente maltrattata da un arco per violino), per passare alla più che degna conclusione di Basic Elements/Old man dove gli echi di Les Claypool e dei Primus la fanno da padrone.
O.N.G. Crash non è affatto un disco facile, ed è un complimento.
E’ una composizione che necessita, perché merita, molta attenzione, non solo perché è fatta con grandissima perizia tecnico/compositiva, ma soprattutto in quanto, pur nelle sue mille sfaccettature, è un disco che ha l’anima di Mitelli, che ci mette un’ottima dose di onestà artistica, offrendo un nuovo modo di concepire il crossover.
Un antidoto contro la noia.
Filippo Basile