“New Eyes” è il titolo dell’ultimo EP di Natan, cantautore bolognese che, a distanza di tre anni dal precedente album intitolato “Someone will save you”, dà alle stampe una raccolta di cinque brani da cui emerge una nuova attitudine ed una raggiunta maturità artistica. I nuovi occhi di Natan sono quelli con cui lui guarda il mondo trovando una propria collocazione naturale all’interno di quella musica che meglio rappresenta le sfumature della sua sensibilità. Il rock è sempre il linguaggio di base di Natan a cui lo stesso aggiunge una fattura cantautoriale nella scrittura dei brani, strutturati su linee melodiche efficaci e raffinate, basate sempre sulla ricerca dell’intensità. La scelta di cantare in inglese poi diventa funzionale ai brani, trasmettendo all’ascolto una estrema naturalezza in termini di espressività e mai di artificio fine a se stesso.
Il suono complessivo della tracklist ha una impronta americana nel suo versante AOR in cui la musica propizia viaggi immaginari lungo autostrade della mente che portano lontano, in un rifugio interiore. L’opener New Eyes è un morbido viatico per suggestioni di ampi spazi, mentre la successiva Wave of Love è uno dei pezzi più significativi in cui al centro di tutto c’è la chitarra con spore hendrixiane sparse attraverso un lancinante wah wah. Birds ha nel ritornello un’armonia cristallina vicina alla classe dei Tears for Fears, frammista all’intimismo di certo Justin Vernon. Nella chitarra di Goodbye vi sono tracce che riportano a Jeff Buckley, così come a certo sound seventies vicino ai Fleetwood Mac, mentre il riff muscolare della conclusiva Live in my Soul sembra seguire la linea di Foxy Lady, segno che Natan si è abbeverato alle fonti incontaminate del rock, quello che ha lasciato il segno più profondo nel solco temporale tra la fine degli anni sessanta ed i settanta. “New Eyes” è una sorta di taccuino su cui sono stati annotati i tracciati di pensieri quotidiani, quelli che, a rileggerli dopo qualche tempo, ci fanno capire chi eravamo quando li abbiamo scritti e qual era la direzione intrapresa dalla nostra vita. Un disco di passaggio verso qualcosa di più grande.
Giuseppe Rapisarda
