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No Review – Perchè “Simulation Theory” dei Muse non è un brutto album

Un buon fan dei Muse, di quelli della prima ora, sa che dentro un album del trio dovrà aspettarsi oscurità, tormenti interiori, riferimenti alla musica classica, ai migliori Queen, certi barocchismi negli arrangiamenti e falsetti come se non ci fosse un domani. Se odiate tutto questo, fareste meglio a risparmiare la fatica di premere play sul vostro lettore (e anche quella di scrivere una recensione, probabilmente). I Muse nel bene e nel male, infatti, hanno mantenuto da sempre un’impronta molto riconoscibile che li porta a dividere gli ascoltatori.

Fatta questa dovuta premessa, era da un paio di album che nei lavori dei Muse tutto quello di cui parlavo sopra si era un po’ appannato, fagocitato da una virata elettronica che aveva fatto storcere il naso a molti e fatto acquistare alla band qualche nuovo fan tra gli ascoltatori del pop.

Simulation Theory’, il nuovo e ottavo album dei Muse, invece, torna ad essere divisivo e più in linea col percorso della band. Gli undici brani sono stati prodotti dalla formazione, insieme a diversi producer tra i quali Rich Costey, Mike Elizondo, Shellback e Timbaland, che hanno contribuito a una certa disomogeneità dell’album.

“Simulation Theory” si apre con un brano futuristico, “Algorithm” dall’incedere epico, nel tipico stile della band, che non ha mai nascosto la propria passione per la musica classica, i cui echi intervengono in contropiede col suono di un pianoforte a contrastare l’avanzata degli strumenti elettronici. Dentro questo brano ci sono i vecchi Muse, c’è l’elettronica che sta dominando il mercato, ci sono riferimenti ai Queen. Il testo è a dir poco profetico: “Algorithms evolve/ Push us aside/ and render us obsolete /This means war With your creator”.The Dark Side” segna, invece, un cambio di tendenza, fa trasparire la voglia di tornare alle origini, mettendo da parte le sperimentazioni non troppo riuscite degli ultimi album, riportando un po’ di rock vecchio stile nei brani. Anche i temi, quelli più dark, tornano alla carica, tra lati oscuri e tentati salvataggi. In “Pressure” sentiamo le chitarre, oserei dire finalmente, soprattutto perché sono in pochi a farle suonare come Bellamy, e il disco prosegue nel suo incedere epico, in un brano che d’impatto potrebbe considerarsi riempitivo, con una partenza non troppo convincente, ma che nota dopo nota si arricchisce di spunti interessanti. Pensate che “Propaganda” sia un brano che potevano risparmiarci? Sono d’accordo. Si prosegue con “Break it to me”, brano dai risvolti orientaleggianti, che picchia duro e che sembra venuto fuori da un pomeriggio di divertissement in studio, quasi uno strumentale. Su “Something Human” il disco si addolcisce con un brano che parla del tornare a casa, allontanandosi dalle allucinazioni del successo, brano dalle sfumature folk, nuove per la band. Tutti gli album hanno delle cadute di stile e anche questo non si risparmia. Ammetto di essere stata tentata di skippare ascoltando quegli inquietanti coretti sull’intro di “Get Up And Fight”, brano dalle due anime, una da cestinare, l’altra apprezzabile. Un pezzo che parte malissimo, ma che sa esplodere bene, cosa che però non lo salverà dall’oblio. Fortunatamente arriva un brano come “Blockades” a risollevarci il morale, per poi farcelo crollare con un pezzo come “Dig Down”, che sembra più uno scarto degli ultimi due album. L’ascolto si chiude con “The Void”, brano senza infamia e senza lode. La Deluxe version del disco presenta sul finale delle interessanti versioni alternative di alcuni brani, tra cui spiccano le alternative version di “The Dark Side” e di “Something Human”.

“Simulation Theory” segna una rinascita che potrebbe essere l’avvio di un cambiamento di rotta non solo per la band, ma anche per la musica internazionale. Il ritorno alle chitarre, il ritorno a un rock vecchio stile, meno edulcorato e più suonato. I Muse sono tornati con un album di riconciliazione con quei fan a cui non era andata giù la deriva elettronica intrapresa negli ultimi anni, ma che ha la pecca di aver scelto troppe mani a cui affidarsi. Qualche coretto poteva essere risparmiato, ma tutto sommato in “Simulation Theory” c’è tutto quello per cui i fan amano i Muse e gli altri li odiano a morte. Un album che sicuramente dal vivo suonerà nella sua forma migliore.

Recensione a cura di Egle Taccia

Written By

Egle è avvocato e appassionata di musica. Dirige Nonsense Mag e ha sempre un sacco di idee strambe, che a volte sembrano funzionare. Potreste incontrarla sotto i palchi dei più importanti concerti e festival d'Italia, ma anche in qualche aula di tribunale!

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