La verità risiede sempre negli occhi, anche in quelli vitrei di una bambola adagiata ad osservare il vuoto di una stanza immobile, come quella ritratta da Swanz nello scatto della copertina di “Sad Dolls and Furious Flowers”, nuovo album dei Dead Cat in a Bag. A sette anni dall’esordio intitolato “Lost Bags” ed a quattro da “Late For a Song”, Swanz (autore tra l’altro di musiche per lavori teatrali, oltreché fotografo), Andrè (videomaker e curatore della parte visuale della band) e Scardanelli (sua la colonna sonora del film Le Meraviglie di Alice Rohrwarcher), danno alle stampe un album che costituisce la summa di tutte le esperienze maturate tanto singolarmente, quanto come collettivo.
Tutti gli incontri ed il tempo vissuto suonando e raccogliendo suggestioni dal mondo e dall’arte sono condensati in “Sad Dolls andFurious Flowers”, disco che trabocca di vita pulsante, di sentimenti andati a male per il disincanto che li ha consumati, di case lasciate di notte per cercare migliore fortuna e di sentieri persi e ritrovati più volte. Ciò che di questi tredici brani colpisce è proprio lo spessore artistico, la raffinatezza di arrangiamenti funzionali ad una scrittura che sa essere magniloquente e misurata allo stesso tempo, che diventa letteratura nel racconto di esistenze modellate dalla forza dei venti in un immaginario Sud del mondo.
Nella musica dei Dead Cat in a Bag risuona l’eco di antiche nostalgie, simile allo stridore del passaggio di treni lontani o allo sventolio di anime a brandelli stese ad asciugare come lenzuola al sole dell’estate. La tradizione del folk americano si unisce allo spleen mariachi e ad un gusto per lo score western di stampo morriconiano, così come vibrazioni klezmer si fondono con la grottesca teatralità brechtiana e la canzone d’autore a iridescenze zigane. La gestione di tutti questi elementi è perfetta nel suo dosaggio, perché ogni brano possiede una grande forza immaginifica che rimanda alla classicità dei Lambchop, alla dannazione di Mark Lanegan, al più torrido Nick Cave e, nel contempo, al più disperato Tom Waits.
L’opener Sad Dolls è drammatica nel suo incedere lento ed inesorabile, Promises in the Evening Breeze è un ballo maledetto in mezzo al nulla, vicino al mood di The Black Heart Procession, mentre Thirsty si appropria dell’accoratezza di Nick Cave & The Bad Seeds con il violino che ricorda le obliquità di Warren Ellis. Not a Promise è uno dei brani più toccanti con la densità del suo sviluppo strumentale, mentre The Voice You Shouldn’t Hear è uno sprofondare nelle spire di sabbie mobili. Il banjo mesmerico di The Place You Shouldn’t Go segna l’inquietudine di un viaggio sotto la luna piena, Le Vent è un addio che si nutre del romanticismo sussiegoso di Jacques Brel. Dopo la pregevole reinterpretazione della litania acida di Venus in Furs dei Velvet Underground, troviamo Clouds, ottima ibridazione tra la musica ispirata da Che cosa sono le nuvole di Domenico Modugno ed il testo tratto da “Otello” di Shakespeare. In chiusura la riconciliazione del rock di Mexican Skeletons e Furious Flowers, carica di sentori alla Gabriel Garcia Marquez.
“Sad Dolls andFurious Flowers” è uno degli album più interessanti del 2018, in cui ogni cosa è avvolta in una fitta rete di sottotesti che rendono ogni brano vitale, ascolto dopo ascolto: canzoni dedicate alla tristezza e alla follia del vivere in un mondo di solitudine in mezzo al clamore.
Giuseppe Rapisarda
