Dopo l’album “StradivariFestival Chamber Orchestra” che raccoglieva le registrazioni eseguite dall’ensemble StradivariFestival Chamber Orchestra presso l’Auditorium Giovanni Arvedi di Cremona, il Maestro Ezio Bosso ora procede a ritroso con “The Roots (A tale sonata)”, probabilmente uno dei passaggi più personali e introspettivi della sua carriera. Ogni tappa della ricerca artistica di Bosso ha un nucleo concettuale pregnante, ogni composizione è strutturata all’interno di una visione in cui l’esperienza e la sensibilità di musicista e direttore d’orchestra si fonde con quella di uomo, al punto che una qualsiasi partitura trasuda della sua profonda e toccante umanità. Se nel lavoro precedente la tematica affrontata era quella della trascrizione della musica come metafora di una vita che continuamente si inscrive in noi, con “The Roots (A tale sonata)” Bosso sviluppa il motivo del ritorno, delle radici come origine di ogni cosa, cosmogonia di noi stessi e di ogni responsabilità.
La dinamica circolare delle radici personali e collettive trova il suo compimento negli stessi spazi dell’Auditorium Giovanni Arvedi che fanno risuonare una musica necessaria come non mai, proprio perché senza tempo, in registrazioni risalenti al novembre del 2017. La cura certosina del suono, dovuto al tecnico del suono Michael Seberich, è l’elemento aggiuntivo rispetto alla perfezione formale che avvolge ogni singola esecuzione, dando vita ad una resa avvolgente che asseconda la sensibilità interpretativa. La tracklist alterna brani originali del Maestro a partiture di autori che hanno concorso a definirne nel tempo la fisionomia artistica. Non è un caso che per questo percorso dell’anima Bosso abbia scelto come compagno di viaggio l’amico di sempre Relja Lukic, oggi primo violoncello dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino.
L’opener è affidato a Fratres, scritto nel 1977 da Arvo Pärt: dalle vibrazioni del violoncello di Lukic si sprigiona la forza di un vento freddo generato da un inverno apocalittico sceso a cancellare tutte le miserie umane, mentre la successiva Ich ruf’ zu dir, Herr Jesus Christ, BWV 639 di Johann Sebastian Bach segna il ritorno ad un punto di partenza ideale, l’origine di tutta una vita. Bagatelle No. 3: Dreaming Tears in a Crystal Cage, brano dedicato a John Cage, è una composizione del Maestro per solo piano in cui emerge una dimensione emotiva sospesa tra classicismo e minimalismo del novecento in cui si avverte la malinconia delle sospensioni di Satie. Durante l’ascolto si ha la sensazione di essere di fronte ad una musica potente che decodifica lo sforzo di raggiungere l’Assoluto, in un moto di ricerca interiore profonda che spodesta l’Ego da ogni velleità di superiorità. Il tema delle radici ritorna con la partitura di Olivier Messiaen, Louange à l’Éternité de Jésus, scritta nell’estate del 1940 quando il compositore francese si trovava costretto in un campo per prigionieri di guerra in Germania (la composizione fa parte del Quartetto per la fine del Tempo, oltre ad essere una delle opere strumentali più toccanti del ‘900).
Di radici parla anche la sonata per piano No. 14 in C-Sharp Minor, Op. 27 No. 2, meglio nota come Sonata al chiaro di luna di Ludwig Van Beethoven. Trio, dolcemente (Remembrances, a Mourning Song) dello stesso Bosso è il canto dedicato al ricordo delle persone che non ci sono più e che continuano a vivere in una memoria tramandata: il brano si ispira alla tradizione dei mourning parties – una sorta di celebrazione dei defunti in forma cantata – in cui il sostantivo “mourning” (addolorarsi) gioca a fondersi foneticamente con “morning” (mattino). Il finale è affidato agli oltre ventuno minuti di Finale, allegro molto ma giusto, presto con fuoco di Bosso, una delle trascrizioni più forti e struggenti dell’intero album.
“The Roots (A tale sonata)” è l’ennesimo dono inconsapevole di Ezio Bosso, di quelli che non creano un vincolo di debito ma solo riconoscenza nei confronti della musica come strumento di comprensione della vita e di se stessi.
Giuseppe Rapisarda