C di Charlotte (North Carolina, USA)
Warning. Dato il tempo trascorso in questa città, l’articolo che state per leggere è più lungo del solito. Avevo pensato di dividerlo in due, ma poi ho pensato che siete in grado di prendervi una pausa da soli, se vi pare.
2 giugno 2016 – Mentre sei in ferie, ti chiamano dal lavoro: “Dovresti partire tra 15 giorni. Per almeno 3 mesi”.
19 giugno 2016 – Aeroporto di Bologna, 25 kg di valigia, 5 ore di scalo a Londra, per un totale di 16 ore di viaggio. Così ha avuto inizio la mia avventura americana.
Charlotte, North Carolina, detta anche The Queen City. Non propriamente la prima città che viene in mente quando si pensa agli Stati Uniti. Per i primi 10 giorni alloggio a North Lake, in un hotel della zona industriale. Nei paraggi: gas station, fast food, supermarket e vista centro commerciale. L’11° giorno mi comunicano la bella notizia “Puoi spostarti in appartamento”. Stesso centro commerciale, sempre a North Lake, ma la sensazione di avere le chiavi di casa rende tutto più gradevole.
La spesa. Se sei abituato a mangiare senza pietà, entrare in un supermarket equivale a fare due passi in paradiso. Se invece sei maledettamente selettivo, preferiresti prendere a morsi il carrello nonché la cosa più sana che si possa trovare tra gli scaffali. Il mezzo litro di latte, di per sé molto difficile da trovare, costa come il fusto da un gallone. La quantità standard di qualsiasi cibo confezionato è all’incirca doppia rispetto a quelle a cui siamo abituati nel vecchio continente. Mi rendo presto conto che così non può funzionare. Con l’arrivo della mia coinquilina, qualche giorno dopo, il problema si risolve.
N.B. Sono una cuoca pessima, ma fino agli spaghetti al pomodoro ci arrivo. Vedere la gioia di un americano che gusta un piatto di pasta fatto a modo – o almeno con amore – è una sensazione impagabile.
Il supermercato è anche quel luogo in cui mi sono scontrata per la prima volta con la tangibile differenza culturale del “Buongiorno” di cortesia. Alla domanda “Hi, how are you?” della cassiera, spontaneamente rispondo “I’m fine, thanks”. Capisco subito che qualcosa va storto nella dinamica comunicativa: la signora mi polverizza con lo sguardo e sento il brivido dell’inadeguatezza corrermi lungo la schiena. La volta successiva non mi fregano: scelgo la fila più lunga alle casse e osservo. Stavolta arrivo preparata. Al “Hi, how are you?” rispondo con un fiero “I’m fine, thanks. And you? Today it’s very hot outside!”. Tutto va liscio, mi guadagno un affettuoso sorriso e un piacevole dialogo conoscitivo che finisce circa 25 secondi dopo con uno scontrino.
Il tempo. Come prevedibile in questi casi, fuori dall’ufficio ci si ritrova a passare molto tempo da soli. Spendo i primi 15 giorni ad ambientarmi. La lingua, le distanze, il cibo, l’aria condizionata, le persone.
Così, dopo il lavoro, nei caldi pomeriggi d’estate e nei weekend, vago senza meta per la città a scoprirne angoli nascosti ed affascinanti. Ricordiamoci, in ogni caso, che negli Stati Uniti il classico concetto di passeggiata non esiste. Bisogna fare i conti con la dipendenza dall’auto. Per rendere l’idea, Charlotte ha un’estensione di circa 800 km² e l’uptown è a 20 km da casa mia.
Uptown, il cuore economico della città. Banche, ristoranti, club, uffici. Visito il museo di arte contemporanea; passeggio per Tryon Street e scopro The Green, un piccolo parco dedicato alla poesia e alle favole; costeggio il Bank of America Stadium, tempio dei Carolina Panthers. Una dozzina di grattacieli, di notte illuminati a giorno, compongono la suggestiva skyline della città.
Downtown, il vero cuore della vita notturna. Una costellazione di locali con musica dal vivo e birrerie.
A Charlotte c’è tantissimo verde, boschetti, parchi e viali alberati. Ho lasciato un pezzo di cuore a Freedom Park, zona East Boulevard, e a Jetton Park, riserva naturale su Lake Norman a 20 minuti di auto da North Lake.
Il giorno del mio compleanno, la mia coinquilina decide di farmi vivere un’autentica giornata americana. Partenza alle 8 di mattina per un tour di Yard Sales, letteralmente i mercatini da giardino, dove gli americani aprono i loro garage e vendono ai curiosi le loro vecchie cianfrusaglie. Si possono fare davvero ottimi affari. Noi, per esempio, con 25$ abbiamo arredato il patio di casa.
Non starò a dilungarmi sulla cultura del barbecue. È esattamente come nei film. Si comincia a stappare birre verso le 11.00 di mattina e si finisce alle 23.00. Se poi è il giorno della partita di football, la combo è fatta.
Durante la mia permanenza negli USA ho avuto anche occasione di uscire dal North Carolina. Sono stata un weekend a New York, una decina di giorni ad Atlanta (per lavoro) e prima di ripartire ho fatto anche un salto in Utah… ma di queste “lettere” parleremo a tempo debito.
Tre mesi sono un periodo di tempo breve, ma sufficientemente lungo per iniziare ad orientarsi, per sciogliersi con la lingua, per instaurare una piacevole routine che odora di novità.
12 settembre 2016 – 15kg di extra peso in valigia, 18 ore di viaggio di cui 6 di scalo a Londra. Una canzone dei Dance No Thanks! nelle orecchie. Durante il decollo, guardando dal finestrino la skyline di Charlotte che si allontanava, ho pianto.